Pensieri sterili galleggiano mollemente in una liquidità lattea. Vivo in un eterna iterazione, si arricchisce forse di quale particolare, ma la traccia è sempre la medesima, fatta di ruoli, di maschere.
Con diligenza maniacale ed angosciante assumo modi, toni, comportamenti secondo uno schema la cui logica appartiene solo agli strati più profondi del mio essere, ben lontani dalla coscienza.
Schifatemi, schifatemi pure per la mia prolissità, per il mio parlare inutilmente e presuntuosamente forbito, schifatemi per il mio essere scurrile e sboccato. Fatevi di me idee grottesche, idee che il gravare dei miei più intimi vincoli morali non mi permetterà mai di attendere, benchè, come vezzo, dichiaro che mi vorrei proprie.
La ronzante compagnia dell’alcool mi ha concesso di nuovo la volontà necessaria a produrre scritto, ad affettar pensieri come il salumiere affetta salumi, a produrmi negli sproloqui che mi caratterizzano per mia volontà e vostro placeat. Il blocco, di cui per svariati giorni ho promosso l’irrilevanza si preparava a fabbricar dolore.
La mia empatia è strumentale, finalizzata ad un obiettivo che risiede, ancora una volta, nel dominio di quegli strati profondi, lontani dalla coscienza. In realtà sperimento l'intolleranza, la distanza, il fastidio per altri la cui soggettività la mia socializzazione medioborghese sinistroide mi spingerebbe a trovare degna di rispetto, e che invece sento insopportabile, fastidiosa, irritante, disprezzando me stesso per questa profonda e testardamente autocelata misantropia.
La solitudine è prima di tutto uno stato della mente.
Che noi si sia soli in senso stretto è un dato di fatto: il nostro mondo cognitivo è inevitabilmente personale, a meno di schizofrenia, in esso ci siamo noi e noi soli, esso siamo noi.
La percezione di questa solitudine immanente è invece varia, muta a seconda della situazione relazionale e dello stato emotivo.
La chiave è l’empatia, tanto quella del sistema, quanto quella del soggetto; l’empatia non solo come attitudine o capacità, ma essenzialmente come momento sincronico di sentire diversi, di esperienze differenti, ma in certa misura essenzialmente comuni, comuni a partire dalle congruenze biologiche e sociali dell’essere umani e dell’essere sociali, qui ed ora.
Come accennavo, però, c’è empatia ed empatia, c’è la sofisticata strutturazione dell’agire emotivo in termini di stimolo-risposta emotivo, strumento più o meno consapevole della razionalità, o l’empatia realmente sentita, che fonda su basi implicite e costitutive…ma infondo la differenza, il limite, la distinzione è solo l’ennesima convenzione.
Il fottuto olismo è una sorta di gorgo che a dargli spazio ingoia ogni cosa, ma l’esperienza concreta del mondo mitiga tale voragine e la sua ingordigia. L’angoscia scaturita da tanta voragine genera altrettanta ingordigia di esperienza concreta e di vita.
Altra verminosa astrusità a seguire ...ma sono stato già sufficientemente cervellotico per far desistere chi poco mi regge e per soddisfare chi, assurdamente, di me appezza proprio questo.