venerdì, maggio 30, 2008

Come una spugna

Singolare…

Cresciuto con l’idea che la cultura fosse una cosa importantissima, forse tra le più importanti, mi ritrovo ignorante.

Non parlo della condizione assoluta, tutti siamo ignoranti rispetto ad un’infinità di cose, parlo di quella relativa.

Fino alle superiori (e i primi due anni di università) ho deciso che la mia vita era una merda e che l’apatia e l’autocommiserazione dovessero essere la mia via. C’era pure una buona dose di vittimismo a 360° e di pensiero autodistruttivo in loop.

Per tanto tempo mi sono concentrato sul mio mondo interiore, arrivando a giustificarmi pensando che quest’ultimo è infinito tanto quanto quello esteriore e, addirittura, che dentro di me potevo trovare tutto e che non c’era bisogno di dedicarmi a quello che avevano cercato altri fuori. Non ci ho mai creduto davvero, ma mi faceva comodo.

Avevo anche una gran paura del confronto: dopo essermi sentito dire all’infinito da piccolo che ero intelligente e dopo aver realizzato che, se questo era vero, non mi aiutava gran che nelle relazioni con il resto del mondo, per crederlo dovevo impedire a chiunque e a qualunque cosa di negarlo.

Il risultato di tutto ciò è stato che a scuola mi sono sempre limitato a galleggiare, studiando occasionalmente il minimo, usando ogni minimo fallimento come alibi e preoccupandomi più di coltivare l’ansia da prestazione che di impegnarmi per affrontare le prove che mi si ponevano di fronte o di dedicare realmente alla cultura quell’attenzione che, secondo i valori inculcatimi, avrebbe dovuto avere.

Cominciando sociologia le cose sono un po’ migliorate, ma solo un po’. L’avvicendarsi degli esami era troppo veloce (tutti tre crediti) e quello che mi infilavo in testa, poco dopo svaniva e restavano solo plichi di riassunti fatti a computer, tanto più che non sono nemmeno stato costante nello studio.

Il risultato finale è che sono una “spugna”. Assorbo informazioni raccattate da ogni dove (internet, libri, tv) sugli argomenti più disparati (storia dell’assenzio, salti prigoginici, ecc.), ma si tratta di conoscenze occasionali e superficiali, prive di un filo conduttore, non organiche, tali che posso parlare solo con chi non ne sa niente e limitandomi molto. Per quanto riguarda la sociologia stessa, ho idee di fondo molto generali e qualche raro sprazzo di conoscenza più specifica.

Me ne rendo conto benissimo e sono anche cambiato nel tempo, ma spesso, troppo spesso, continuo a limitarmi a preoccuparmene, senza agire di contrasto.

sabato, maggio 17, 2008

Chrysalid


Da molto tempo ormai non scrivo e da molto tempo non sento l’urgenza di scrivere.

La paura di essere banale l’ho sempre sentita, ma non è mai stata un problema troppo grosso. Infondo Internet è piena di banalità e quando, ogni tanto, sono riuscito a scrivere qualcosa che qualcuno ha trovato interessante, mi sono ritenuto soddisfatto.

Non ho mai aspirato a superara la mia trentina di visite giornaliere. Ci sarebbe voluto tutt’un altro impegno, altri contenuti, altra cura. Questo blog ha risposto a necessità molto basilari: sfogo creativo in momenti di particolare cupezza, reificazione e traccia della mia autorifelessività, arena del mio autocompiacimento e gogna del mio “vorrei ma non posso”, dei miei errori d’ortografia, delle mie difficoltà con la punteggiatura, tentativo di sbrogliare la matassa ingarbugliata dei miei pensieri.

Non ho mai avuto un preciso target in mente, potrei dire che scrivevo solo per me, ma sarebbe un’idiozia, perché al mio blog può accedere chiunque. Un target, in realtà, credo di averlo sempre avuto, anche se non so definirlo.

Qual’è il punto? Il punto è che ora la paura della banalità è più forte, che sono privo di ispirazione e che, quindi, non riesco a scrivere né racconti, né riflessioni (su massimi, minimi o intermedi sistemi). Immagino che la cosa abbia anche molto a che fare con il periodo di transizione che sto attraversando, con l’idea sempre presente, anche se non necessariamente esplicitata, che sono comunque io, ma che sono anche un po’ diverso e che non so ancora in che modo esattamente sono diverso.

D’altro canto scrivo ancora, perché evidentemente mi dispiace veder morire il blog, forse anche per quella trentina di aficionados (che probabilmente sono di meno, visto che almeno un 33% delle visite è da imputarsi a naviganti occasionali, soprattutto da gente che con google immagini cerca “bleeding heart” e finisce per trovare un mio vecchio post) che, ogni giorno, uno più, uno meno, rimpolpano il mio counter.

Vedremo…

mercoledì, maggio 07, 2008

Chiudono gli occhi e serrano i pugni


Quello che segue non pretende di essere un pensiero originale, è solo un pensiero nella forma in cui mi è venuto nel momento stesso in cui mi è venuto.

I fatti di cronaca più recenti sono piuttosto preoccupanti.

Un ragazzo morto a Verona, pestato a sangue da un gruppo di fighettini annoiati con un futilissimo pretesto (tanto futile che forse potevano pure risparmiarsi la pena di cercarne uno).

Una rivolta di piazza che ha coinvolto centinaia di persona a Torino contro vigili che cercavano di multare un automobilista che con la sua auto bloccava il passaggio di un tram.

Il numero crescente di atti di bullismo sempre più crudeli con immancabile filmato su YouTube.

Gente, e non gente a caso, il nuovo Presidente della camera, che si mette a fare improbabili classifiche degli atti efferati, buttando beceramente in politica qualcosa che dalla politica doveva essere semplicemente condannato e stigmatizzato.

Tutto torna...l'allarme sicurezza pompato ai massimi livelli, con il rinforzo della crisi economica, porta all'egoismo, al caproespiatorismo, all'annullamento di ogni senso dello stato, della legalità, la perdita di valore della vita umana: non è il rispetto della legge che si chiede, ma l'intransigenza e la violenza spiccia contro le incarnazioni più visibili e più "facili" dei nostri guai e delle nostre afflizioni. Non importa nulla a nessuno che in Italia la legge sia stata sempre un optional, soprattutto per alcuni, importa soltanto che questo resti un privilegio "esclusivamente italiano".

L'anomia galoppa. Prelude forse ad un cambiamento, è una crisalide. Cosa ne uscirà? Temo qualcosa di deforme.

Ribadisco, riporto solo alcune sensazioni, non voglio certo fare un'analisi sociologica. So anche che alcuni di questi fenomeni sono probabilmente amplificati dalla TV, ma anche solo questo, in una prospettiva ermeneutica ha un suo senso: il problema insicurezza sarebbe solo un leggero spauracchio senza l'essenziale supporto televisivo. Paura, violenza, verso un parossismo che si autoalimenta.

Comunque, basta sproloqui, sono solo un pò preoccupato.

Graditissimi commenti (Aspetto soprattutto quelli di g. a punire la mia superficialità ed il mio bigottismo :) )