sabato, dicembre 29, 2007

Il signore (non) da il pane a chi non ha i (cre)denti



Ora ho un motivo più concreto per provare fastidio per qualsiasi culto organizzato.

Come ogni organizzazione hanno una struttura più o meno gerarchica e hanno dei capi. Anche questi capi religiosi, seppure da principio o nelle dichiarazioni pubbliche non accentrano su di se particolari prerogative, anche se chiamano se stessi esclusivamente "guide", intendendo con quest'etichetta che la loro unica funzione è quella di aiutare i credenti ad avere fede, acquisiscono un certo potere.

Benché alcuni si definiscano "inviati di Dio" o simili, si tratta sempre di uomini, come uomini sono i loro sottoposti ed i fedeli. Benché molti di loro si dicano umili, molti tra loro non esiteranno ad utilizzare il loro potere per il loro interesse. Il fatto che siano sinceramente convinti di ciò che predicano o che lo usino come copertura per raggiungere scopi assai più personali, fa poca differenza.

La caratteristica peculiare del potere che possono esercitare è la possibilità di fornire agli uomini-credenti uno dei migliori motivi per manifestare la propria codardia. Qualcuno, penso Kant, ha fatto notare che la morale dovrebbe essere autonoma, non eteronoma, che si dovrebbe agire secondo ciò che si ritiene giusto per il solo fatto che, appunto, lo si ritiene giusto, non per la paura di punizioni extraterrene. Tanto peggio, seguendo questo ragionamento, sarebbe non fare ciò che si ritiene giusto soltanto per la paura di punizioni ultraterrene.

Certo, poi, volendo essere un pò più cinici, non sono o solo le punizioni ultraterrene, ma quelle terrene che spesso spaventano, anche perchè il potere di cui sopra, anche se ha caratteristiche particolari derivanti dalla natura della sua fonte, mantiene comunque influenza concreta nel mondo reale, visto che si tratta sempre di un potere umano.

Queste punizioni terrene possono essere, per esempio, l'ostracizzazione, l'allontanamento dal gruppo. Non c'è bisogno di essere eccessivamente cinici, queste punizioni spaventano non necessariamente o non soltanto in ragione del fatto che si viene estromessi dalla gestione o dal godimento degli effetti di quel potere, proprio del gruppo e del suo vertice, ma anche perchè, eventualmente, possono privare della stima, del rispetto, dell'affetto di persone care facenti parte anch'esse di quel gruppo.

Certo, è il "solito discorso individualismo-collettivismo", ma con qualcosa in più. Non sono così materialista da pensare che l'aspetto religioso della questione non dia al tutto un "valore aggiunto", specie nel caso di persone che sinceramente credono, poiché sono abbastanza convinto che ciò che è ritienuto reale finisce per avere effetti reali.

Probabilmente le mie sono farneticazioni scritte di getto, si tratta più che altro di un flusso di coscienza che segue il filo di un ragionamento e non di una tesi già raffinata semplicemente esposta. Questa è una riflessione aperta a contributi e allo stesso tempo uno sfogo. Chiunque voglia partecipare è dunque invitato a lasciare i suoi commenti.


mercoledì, dicembre 26, 2007

Flusso di coscienza allo zenzero (AKA eupepsia!!!)


Nessuna celebrazione natalizia sul mio blog (A parte il video che però contiene zenzero!!!).

E' con le viscere in subbuglio che mi appresto a lasciare qualche pensiero su queste pagine altrimenti bianche (nere). Scrivo per scrivere, un pò come quando disegno partendo da una linea senza sapere cosa voglio disegnare e vado avanti aspettando che l'immagine prenda forma nella mia mente e poi sul foglio. Non sempre succede, a volte la mente è vuota, quantomeno, vuota di cose stimolanti.

L'esperienza della mente davvero vuota, quella da meditazione per intenderci, quella da "se un albero cade in una foresta senza che ci sia nessuno ad ascoltarlo, fa rumore?" o da "che rumore fa una mano che batte da sola?", l'esperienza della mente vuota, dicevo, non l'ho mai veramente provata.

Affetto da distrazione cronica, ogni pensiero può essere stimolo per altri mille, sempre e comunque, senza per altro aver portato a termine la riflessione originaria. Ci sono poi pensieri martellanti che, una volta infilatisi in testa, non escono, pronti a ripresentarsi non appena viene pronunciata una "parola di attivazione". La possanza di tali pensieri è tale che quando la parola viene pronunciata in un punto qualsiasi del mio spazio uditivo, la pulsione a partecipare al discorso da cui quella parola proviene è irresistibile (Vero Chia?).

D'altro canto c'è un grande silenzio oggi, il cielo grave di batuffolose nuvole grigio-giallino-rosate, ognuno a casa sua a siringarsi le viscere di sostanze nutrienti in formati ad alta densità, banchettando con parentado residuo. Anche a sentirsi estranei al tutto, te ne stai a casa, visto che è tutto chiuso.

Ok...penso che questo flusso più o meno libero di associazioni sia finito.

giovedì, dicembre 20, 2007

L'improvvida irruenza di un inetto emotivo



- Franco Battiato: centro di gravità permanente -

Momenti neri...

Capitano e spesso non sono nemmeno tanto evidenti, sono solo vaghe sensazioni di fondo, promesse di cadute possibili, se non probabili. Su tutto aleggia il solito, assillante senso di impotenza, spesso, più che reale, percepita come tale e, talvolta, proprio per questo, reale nei suoi effetti concreti.

Parlare non significa necessariamente comunicare. La cosa vale anche rifelssivamente: possiamo raccontarci all'infinito storie molto ben congegnate, facendo tranquillamente finta di non saperlo, riuscendo a convincerci alla perfezione.

E' incredibile a quanto poco possa servire, alle volte, rimuginare su di un problema, pensare, riflettere: credi di migliorare la situazione, invece finisci solo per fare danni ulteriori, ammantandoli per di più della qualifica di "azione ragionata" e rendendoli praticamente assai più ostici da risolvere.

Forse ho necessità di più istinto e meno paura, necessità di familiarizzare di più con l'incertezza, infondo non sono poi così inetto e strade sensate ne ho trovate anche io, non c'è motivo di ritenere che la cosa non si riproponga.

Boh...

martedì, dicembre 11, 2007

Tutto il tempo del mondo


Se hai una cicatrice, vuol dire che la ferita si è rimarginata, ma avere una cicatrice non è come non essere mai stato ferito.

Se la ferita si è ben rimarginata non dovrebbe riaprirsi, ma a volte succede. Non necessariamente è una cosa particolarmente grave, magari lo è stata all'inizio e ora non lo è più, ma, a prescindere da questo, ti ricorda che sei vulnerabile, che non puoi avere certezze assolute, sicurezze assolute.

Fortunatamente quando non duole tendi a dimenticartene, non la senti e quindi, in pratica, non c'è. A volte però ti ci cade l'occhio, magari mentre stai errando con la mente tra branchi di pensieri oziosi, e allora la consapevolezza torna e ti affligge. E' possibilissimo che si tratti di un breve momento, che come è venuta vada via, ma a volte, se le circostanze sono adatte, ti si infila dentro come una melassa scura e non ti lascia fino a che non la cacci provocandoti conati.

Se hai una cicatrice, vuol dire che la ferita si è rimarginata, ma avere una cicatrice non è come non essere mai stato ferito. Si va avanti, quasi sempre, molti vanno avanti pure meglio...certo, ma è sempre qualcosa con cui devi fare i conti.

C'è stato un tempo in cui pensavo di non essere capace di "chiudere" alcunché, in cui credevo che non fosse mai davvero possibile chiudere alcunché, in seguito, mi sono reso conto che è vero che il tempo risolve molte cose...già, ma a differenza di quanto non credessi in passato, non ho "tutto il tempo del mondo".

lunedì, dicembre 03, 2007

Microsignificati - Macrosignificati



I santi hanno ucciso gli eroi...

Pensiero istantaneo, a scadenza rapida, che perde significato mentre il tempo passa fin dal momento in cui mi si è presentato alla mente.

Muore il tempo per rinascere infinite volte. Siamo ciechi, molto più di quanto non lo si potesse essere un tempo. Che poi siamo...io ed alcune persone a me vicine, tanto più che parlo essenzialmente per nozioni astratte e riciclate. Un tempo io non c'ero, o comunque non c'ero nella posizione in cui sono ora.

Resta il fatto che mi sento cieco, a prescindere da tutto il resto...anche se in realtà il resto conta, o dovrebbe contare.

Particolarmente sconclusionato stasera. Capita forse quando ci si sente impotenti, sia verso se stessi, sia verso persone a cui si tiene.

E ancora non riesco ad abbandonare questa forma impersonale. Non so se si tratta di un modo per darmi coraggio, fingendo che ci siano riferimenti stabili a me esterni, o solo di malcelata arroganza, potrebbe trattarsi di entrambe le cose, miscelate in misura varia. D'altronde, come mi piace dire/pensare molto ultimamente, non si tratta di presenza o assenza, ma di misura.

La felicità resta sempre questione di attimi e di piccole cose, almeno, mi sembra ora di poter dire così. La felicità può venire dall'immagine vivida di un futuro possibile che ti balena alla mente all'improvviso, di un futuro che magari a pensarci ti fa anche paura, che supponi soffocante, ma in quell'attimo è caldo e ti da sicurezza.

Non può piovere per sempre ed un microsignificato è comunque molto meglio del vuoto.