lunedì, novembre 20, 2006

Gerontocrazia...gerontomanzia...gerontomachia (AH! l'eterna sfida dello studente con la natura!)

La Pink Ferrari mi perseguita. Eccola che mi sfreccia davanti al semaforo della circonvallazione mentre mi reco in biblioteca. Esiste. Dovrò pure farmene una ragione. Economia cognitiva, suvvia.

Ripenso a discorsi fatti settimana scorsa.

Penso a quanto tempo spendono ad istruirci su come citare correttamente e minuziosamente le fonti, su come avere sempre e comunque un’auctoritas a cui fare riferimento, anche dopo uno starnuto.

Penso al tempo che non spendono ad abituarci a sviluppare idee nostre, ad dissertare in modo critico, a buttarci senza rete, banalmente, a dire qualcosa, non a ripeterla.

La citazione, in ambito "scientifico" (ridi pure malefico volatile, so che le virgolette non ti fermeranno) è qualcosa di fondamentale, d’altronde, per parlare di qualcosa devi documentarti, specie se non hai "esperienza sul campo".

Ma spesso è ad uno scopo meschino che sembrano valere i loro sforzi "educativi" in questo senso: alla riproposizione e alla glorificazione delle loro parole, con ampia diffusione di piaggeria e di reciproco riconoscimento per i colleghi (da cui ci si attende pari trattamento o considerazione).

La produzione propria è assolutamente secondaria: si tratta di "composizioni di idee altrui", condite all'occorrenza da dati statistici (ma non solo statistici) raccattati alla bell'e meglio, giusto per fare figura.

Certo, uno può rimboccarsi le maniche e produrre anche non su invito, ma già di motivi per pensare che loro (resto ancora vago, l’evocazione del nome potrebbe comportarmi un travaso di bile) servano a qualcosa e non siano solo dannosi ne ho pochi, l’idea che forse il loro lavoro consista anche nello stimolarci a dare fondo alla nostra creatività, capacità critica e analitica, all’uso combinato delle nostre conoscenze per realizzare qualcosa di significativo (nel nostro piccolo di studenti, ma, in prospettiva, anche di più) è uno degli ultimi che mi resta.

Toglietemelo ne faccio scempio…

Mi sarei dilungato anche su una dissertazione sui bibliotecari, ma direi che ho già dato per stasera e voglio pure andare a letto presto...abbandoniamoci ad un grandeolente personaggio (si veda il video).

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Non so se le cose stiano davvero così. Forse sono sempre state così, forse è sempre stato il sistema dell'istruzione un modello che perpetua conoscenza acritica, l'imparare a memoria, il ripetere, il conoscere. Forse è giusto che sia così. Quello che fa la differenza sono le capacità del singolo: che so, mi viene in mente Gramsci, uno che era chiuso in un carcere, vedeva il mondo da dietro le sbarre e aveva capito in pratica tutto. Milioni di altre persone che ogni giorno si alzavano dal letto di casa propria e non in una branda di un penitenziario, non arrivavano alle stesse cose. E non per una questione di percorso scolastico, o di istruzione. Tutto è una questione di come si utilizzano le conoscenze trasmesse: il sistema dell'istruzione trasmette conoscenze elaborate in altri momenti. Te le offre, e tu a quel punto, crei: se qualche barbuto professore di fisica non avesse insegnato a Enrico Fermi delle noiosissime ma basilari nozioni di fisica, non avremmo avuto nè l'atomica (e mi spiacerebbe) nè i ragazzi di via Panisperna ( e spiacerebbe a me, ad Ugo Amaldi e a Piero Angela ).

g.

Gert_dal_pozzo ha detto...

Forse il mio discorso si prestava ad essere frainteso. Non stavo parlando di nozionismo, non stavo scagliandomi contro la sacrosanta necessità di assimilare i concetti e gli strumenti della disciplina, anzi, ho anche sottolineato tale necessità.
Non sono affatto d’accordo su quella che mi sembra un posizione iperindividualista. Il fatto che esistano geni assoluti che “nutriti” delle nozioni fondamentali stravolgono con le proprie personali e rare qualità il sapere dato per scontato (nell’ambito della disciplina a cui si applicano) fino a quel momento, non implica minimamente, secondo me, il fatto che la scuola in generale, ma specificatamente l’università (che ne differisce, o dovrebbe differirne non poco), debba limitarsi a fornire le pure essenziali nozioni di base, ritenendo che il proprio compito si sia concluso li, perché i geni faranno da sé e se gli altri restano a terra…beh, è la natura. Non credo di essere l’unico a ritenere che l’abitudine al pensiero critico possa essere insegnata se non già presente e che anche dove questa è sviluppata, un clima intellettuale adeguato possa stimolarne l’uso e fornire occasioni per affinarla e metterla a frutto con cognizione di causa. Prendere a riferimento (anche se so che lo facevi con intento esplicativo) la dicotomia “genio-non genio”, senza posizioni intermedie, mi sembra eccessivamente riduttivo. Si possono dare apporti significativi ad una disciplina o ad un’arte (anche se preferirei limitarmi al mio campo, per quel poco che conosco) anche senza rivoluzionarla: sicuramente avranno portata inferiore (e anche qui, infinità di gradi), ma non per questo sono automaticamente irrilevanti. No, decisamente le posizioni elitiste non mi trovano favorevole, sicuramente non a livello di aspirazione. Comunque, per la cronaca, io non deprecavo la citazione in sé e per sé, ma solo l’assenza di una parallela richiesta dell’elaborazione di una propria posizione. Il tutto è nato da una discussione con Sara sulle differenti richieste che i professori fanno in merito alle tesine, in Bicocca e ad Essex: li le è stato richiesto di elaborare e argomentare una sua propria posizione, non prima di essersi ampiamente documentata sulla letteratura relativa all’argomento ed averla usata criticamente come base (come si vede ci sono entrambi gli aspetti).

Anonimo ha detto...

Ottimi spunti. Ragionare criticamente, elaborare una propria posizione, non accettare nulla per scontato. Cose giuste, ma non vedo come possa essere il sistema dell'istruzione a poter fornire tali attrezzi che metterebbe a dura prova la sua stessa sopravvivenza. E' chiaro che l'Università, e ti parlo dell'Università davvero di massa, quella degli ultimi dieci-quindici anni, antepone alla qualità formativa la quantità formativa, non so nella specialistica, ma di sicuro nella triennale. Come potrebbe fare altrimenti? Come fai a far crescere delle persone che nella maggiorparte dei casi non ne hanno voglia? Addirittura: che non dovrebbero neanche essere in un'aula di università e si sono iscritte solo per conformismo? Chi ha le doti, riesce, riesce a farcela anche con una gamba sola, anche con un braccio rotto e un dito nel culo. Parlo di te, e della Sara per esempio. Sarebbe davvero stupendo se l'università riuscisse a fare ciò che suggerisci, ma credimi, non accadrà mai. E non per colpa di un ministero, ma dell'umanità. In quella natura, un pò malvagia ma onesta, un pò darwiniana, ci credo abbastanza. Un clima intellettuale adatto c'è già, c'è per forza se si hanno vent'anni e si studia sociologia: c'è già, e già il sintomo della riflessione porta alla malattia del pensiero, di cui è un gran bene ammalarsi. Credo che in realtà davvero la questione inizi e finisca con gli strumenti che ti vengono offerti dalla tua istruzione: il resto, è nei geni, inteso non come persone eccezionali, ma come caratteristiche ereditarie.

g.

Anonimo ha detto...

Ahah, e si, sono un malvagio elitista ( scambia la t con la l, fa lo stesso! )

g.

Anonimo ha detto...

uhm si aprirebbe un'altra, gigantesca parentesi su cui io e Bruno ogni tanto discutiamo....questi geni...ma se sono così fondamentali la sociologia che ci sta a fare? (sto semplificando e banalizzando eh!non mi va di affrontare questo tema ora...) comunque...ci può essere una base di capacità personali però dubito che queste, se non in rarissimi casi, fioriscano da sole, vanno stimolate e questo lo deve fare la scuola in generale e l'università in particolare e se le persone che si iscrivono non hanno voglia di faticare più di tanto ...bè vadano alla Liuc o robe così... secondo me l'università di massa (tra l'altro in Italia dove già i pochi laureati che ci sono sono "sottooccupati"...quantomeno il cambiamento nell'accesso all'università dovrebbe essere accompagnato da un'evoluzioen adeguata del sistema economico e politico, vabbè...altro discorso) dicevo, questo tipo di università di massa non dà una ripsosta adeguata a questioni di uguaglianza di opportunità e meritocrazia mentre apre altri problemi di qualità. Secondo me l'università dovrebbe porsi un obiettivo pari a 100, poi magari non tutti vorranno dare 100, ma l'idea di partenza dev'essere quella, se no anche chi potrebbe darlo si stuferebbe, perderebbe la voglia (bè,senz'altro ci sarà qualche lodevolissimo studente che è così maturo e autonomo da colmare da solo le carenze dell'università, ma io ad esempio mi rendo conto che rendo mooolto di più quando ho una "guida" che quantomeno mi lancia stimoli interessanti... sarà la mia innata pigrizia!)In Inghilterra, ad Essex nella fattispecie che è l'unica realtà che un pò conosco, non è che son tutti super motivati o contenti di dover scrivere essays piuttosot che fare esami a crocette(per quanto, secondo me, il discorso soldi motiva molto: se spendi migliaia di sterline l'anno, e magari ti indebiti a 18 anni per frequantare l'università, quanto meno cerchi di farli fruttare bene quei soldi...il che poi porta anche all'atmosfera di quasi isteria e palpabile tensione durante gli esami di fine anno..anche perchè,tra l'altro, in molte facoltà non si possono rifare ...se fallisci non hai modo di recuperare, al posto del bachelor o master hai solo una specie di diploma di frequenza...carta straccia!)e anzi diciamo che se ogni settimana i prof fornivano una lista con 10-15 letture attinenti (di solito le prime 3-4 obbligatorie le altre no) probabilmente 80% leggevano giusto quelle obbligatorie e qualcuno neppure quelle, ma quantomeno loro ti scrivono anche tutte le altre (ovvio non ce la faresti mai a leggerle tutte e in quegli splendidi campus c'è tanto altro da fare ;-)... ma magari vai in biblio a dare un'occhiata a quelle che sembrano più interessanti e di solito scopri che lo erano davvero!) e soprattutto i prof chiedevano di prendere una posizione, argometarla, il che implica che devi innazitutto conoscere le idee già in circolo (e non attraverso odiosi manuali che le sintetizzano in tre righe!), cercare di cogliere i punti deboli o applicarle all'attualità ... Concordo con quello che dice Gabriele, se l'uni insegnasse agli studenti a pensare troppo di testa loro innescherebbe forse un processo autodistruttivo...dove finirebbe l'autorità??ma alla fine è una questione di gradi ...insomma io non rispetterei di meno un professore che mi dicesse "questo è quello che so io sulla base di questo e quest'altro,giustificato e sostenuto da x e y, ma vorrei comunque provare a problematizzare il tutto"...poi soprattutto in sociologia sarebbe davvero necessario!
ora smetto...scusate per le mille parentesi... Bruno, mi rimproveravi proprio ieri che non riesco a finire una frase senza iniziarne un'altra...neanche nello scritto miglioro!!

ciao!
sara

ps. Gabriele ma ti interessano mica fotografie di scena per la rivista di cui mi hai parlato(non ricordo il nome?)?una mia amica sta facendo un corso alla Scala e mi raccontava che ha un sacco di foto molto belle...

Anonimo ha detto...

Siete tutti dei geni!!

Anonimo ha detto...

Scegliendo di potermi reincarnare in tre persone, vorrei essere nell'ordine: Bettie Page, la pin-up profetessa del bondage negli anni cinquanta, Serge Gainsbourg nel 1969, e infine Francesco Giavazzi, che ha delle sopracciglia fantastiche. Comunque: : studiare Sociologia, anche al livello della triennale - parlo per me - era molto stimolante, anche se poi i risultati dicevano il contrario. Quello che conta, più d'ogni altra cosa, è la curiosità: ricordo un vecchio Topolino degli anni ottanta in cui il roditore perbenista e Pippo tornavano indietro nel tempo da Leonardo Da Vinci per scoprire il mistero della Gioconda ( Dan Brown è un cialtrone e non ha inventato niente ). Bene, una volta incontrato il genio rinascimentale, Pippo inizia a curiosare nello studio del Maestro: Topolino, preoccupato dall'invadenza extratemporale del compagno di avventure, lo blocca. Leonardo pronto ribatte: "Lascia che faccia: la curiosità è l'anticamera della scienza". Quella frase mi si è scolpita nel cervello e ancora oggi è uno dei miei comandamenti personali. Purtroppo la curiosità non si può insegnare. E a chi mi dice il contrario non so che ribattere: c'è anche chi sostiene che si possa imparare a disegnare senza averne il talento, o a suonare. Il vero problema è che molti adulti, e ancora più giovani adulti, hanno totalmente amputato la propria creatività, il proprio intelletto: colpa dei genitori? Del "gruppo dei pari"? Del mondo-post-moderno-che-ci-fa-tanto-schifo a parte l'IPod? Di Lapo Elkann? Forse di tutti e quattro. Per il resto credo che il clima intellettuale adeguato ci sia già, e che forse la nostra generazione si lamenti un pò troppo: sbaglio?

g.

Anonimo ha detto...

Ah cazzo, e si Sara, le foto mi interessano moltissimo, a meno che la tua amica si chiami Lara Peviani

g.

Anonimo ha detto...

per quanto mi riguarda sono come le nonne, per le mezze misure (nonostante il mio risaputo odio per i vecchi)
Cioé: certo che ognuno di noi e diverso ed esistono quelli brillanti, e che l'istruzione non può fare tutto.. altrimenti avremmo paradossi come una facoltà di sociologia da cui escono migliaia di Bauman, o una scuola di chitarra da cui escono un sacco di Jimi Hendrix.. Insostenibile. Esempi paradossali e controfattuali, ci dicono che in quelli che "lasciano un segno" (che brutta espressione) c'é sempre comunque qlcs di personale e di irriducibile alla sua formazione (in un senso più ampio di quello scolastico)
Tuttavia ha ragione Bruno quando si lamenta del citazionismo barocco della nostra facoltà, e quando dice che si potrebbe fare di più per stimolare le prese di posizione, ad un certo punto del percorso. Certo anch'io sono affascinato dai paper anglosassoni così pragmatici e assertivi.. ma probabilmente se studiassi a Londra sarei invece affascinato dall'immensa cultura citazionista di dotti continentali e così via.. ovvero: forse che le due cose potrebbero essere complementari?

Però devo confessare che anche a me l'elitismo sta sul cazzo.. (senza nulla togliere alla stima e all’affetto che ho per g.!) Mi spiego:
ognuno di noi si può trovare una ragione per sentirsi parte di “pochi”, “buoni”, “superiori”:
ad esempio, superiori perché siamo istruiti
superiori rispetto a quelli istruiti come noi perché abbiamo vissuto all’estero (e vi confesso è una tentazione che ho avuto e ho)
superiori perché abbiamo letto un certo libro che un altro non ha letto
oppure superiori proprio perché NON abbiamo letto un certo libro che qualcun altro ci ha rimproverato di non aver letto (“niente cultura libresca io!”)
possiamo sentirci superiori perché sappiamo disegnare bene (e gli altri no) scrivere bene, suonare bene
superiori perché più impegnati nel sociale e più afflitti dai mali del mondo
tuttavia se c’è proprio una cosa che non manca, a guardarsi intorno, sono i complessi di superiorità
quello che non ha studiato, diciamo un cuoco che lavora 13 ore al giorno e avuto solo 10 gg di vacanza negli ultimi 6 anni, si sente superiore rispetto a “quelli che non fanno un cazzo dalla mattina alla sera”, dei suoi coetanei che ancora studiano o vivono con i genitori (e come dargli torto?) – è fiero del suo solo lavoro duro, e ne fa un metro per giudicare il mondo
se poi per caso ha fatto i soldi, si sente superiore per i soldi che ha, e per come ci è arrivato (“mi sono fatto da solo”) ed è comprensibile.. e così fa del duro lavoro e dei soldi i suoi metri per giudicare il mondo
se non ha fatto i soldi, è fiero anche solo del suo duro lavoro e disprezza tutti quelli che i soldi non se li sono sudati (è superiore moralmente)
quelli che come artisti si sentono superiori al resto del mondo privo di gusto ed insensibile
sentirsi superiori perché si è votato qualcosa, o anche solo per NON aver votato qlcs, o anche per non aver votato
superiori perché si hanno gusti musicali raffinati e si ascoltano gli Spring Heel Jack invece che Ligabue
sentirsi superiori come i miei, che si sentono appartenere ad un “ceto” privilegiato di gente colta con la casa piena di libri, che vota a sinistra e ascolta radio pop e non evade perché, anche volendo, non potrebbe
sentirsi superiori perché si è capito che quell’attentato che tutti credono che abbiano fatto gli A contro i B, in realtà se lo sono fatti gli A da soli per infangare i B

Voglio dire: se c’é proprio una cosa molto comune, è quella di sentirsi parte di una ristretta cerchia di “migliori”, “che hanno capito”, diversi da una gran massa di stupidi che vivono e pensano diversamente – è molto umano, anche se io ad una natura umana ci credo proprio poco (o anche ai geni, che mi fanno sempre venire in mente le inchieste del tipo: trovato il gene che spiega i gusti musicali delle persone!)
E mi sembra alla fine che un elitismo di questo tipo, di tutti questi tipi, sia proprio il peggior nemico della curiosità.. lo dico perché condivido molto invece quel discorso sulla curiosità.. tranne che, ancora una volta, mi sembra esagerato dire che “non si può insegnare”, pensare che sia una cosa innata.. sarebbe altrettanto assurdo pensare che sia solo un prodotto sociale, manipolabile a piacere dal sistema scolastico, ad esempio
(ancora una volta le mezze misure!)
se si può insegnare a NON essere curiosi (pensiamo ad un indottrinamento religioso ad esempio), ne consegue che si può stimolare ad essere curiosi
anche insegnando che NON si deve essere non-curiosi
e lo stesso discorso lo possiamo fare per la creatività allora, per l’imparare a esprimere una propria posizione, per quello che diceva bruno all’inizio
certo non si può insegnare TUTTO e con garanzia di risultato, pena quegli Hendrix paradossali di cui sopra
però non mi fido dei discorsi sui geni, che mi sembrano in fondo un sinonimo di quello che una volta avrebbero chiamato “destino” o “predestinazione”, concetti che ora ci sembrano medievaleggianti e stregoneschi..

mi spiace se ho esagerato in lunghezza
ringrazio bruno che a quanto pare riesce a stimolarci a questi simposi :-)

Giulio

PS: sul fatto che la nostra generazione si lamenti troppo, sono d’accordo.. o forse non si lamenta delle cose giuste? Questo però è un altro argomento

Anonimo ha detto...

per quanto mi riguarda sono come le nonne, per le mezze misure (nonostante il mio risaputo odio per i vecchi)
Cioé: certo che ognuno di noi e diverso ed esistono quelli brillanti, e che l'istruzione non può fare tutto.. altrimenti avremmo paradossi come una facoltà di sociologia da cui escono migliaia di Bauman, o una scuola di chitarra da cui escono un sacco di Jimi Hendrix.. Insostenibile. Esempi paradossali e controfattuali, ci dicono che in quelli che "lasciano un segno" (che brutta espressione) c'é sempre comunque qlcs di personale e di irriducibile alla sua formazione (in un senso più ampio di quello scolastico)
Tuttavia ha ragione Bruno quando si lamenta del citazionismo barocco della nostra facoltà, e quando dice che si potrebbe fare di più per stimolare le prese di posizione, ad un certo punto del percorso. Certo anch'io sono affascinato dai paper anglosassoni così pragmatici e assertivi.. ma probabilmente se studiassi a Londra sarei invece affascinato dall'immensa cultura citazionista di dotti continentali e così via.. ovvero: forse che le due cose potrebbero essere complementari?

Però devo confessare che anche a me l'elitismo sta sul cazzo.. (senza nulla togliere alla stima e all’affetto che ho per g.!) Mi spiego:
ognuno di noi si può trovare una ragione per sentirsi parte di “pochi”, “buoni”, “superiori”:
ad esempio, superiori perché siamo istruiti
superiori rispetto a quelli istruiti come noi perché abbiamo vissuto all’estero (e vi confesso è una tentazione che ho avuto e ho)
superiori perché abbiamo letto un certo libro che un altro non ha letto
oppure superiori proprio perché NON abbiamo letto un certo libro che qualcun altro ci ha rimproverato di non aver letto (“niente cultura libresca io!”)
possiamo sentirci superiori perché sappiamo disegnare bene (e gli altri no) scrivere bene, suonare bene
superiori perché più impegnati nel sociale e più afflitti dai mali del mondo
tuttavia se c’è proprio una cosa che non manca, a guardarsi intorno, sono i complessi di superiorità
quello che non ha studiato, diciamo un cuoco che lavora 13 ore al giorno e avuto solo 10 gg di vacanza negli ultimi 6 anni, si sente superiore rispetto a “quelli che non fanno un cazzo dalla mattina alla sera”, dei suoi coetanei che ancora studiano o vivono con i genitori (e come dargli torto?) – è fiero del suo solo lavoro duro, e ne fa un metro per giudicare il mondo
se poi per caso ha fatto i soldi, si sente superiore per i soldi che ha, e per come ci è arrivato (“mi sono fatto da solo”) ed è comprensibile.. e così fa del duro lavoro e dei soldi i suoi metri per giudicare il mondo
se non ha fatto i soldi, è fiero anche solo del suo duro lavoro e disprezza tutti quelli che i soldi non se li sono sudati (è superiore moralmente)
quelli che come artisti si sentono superiori al resto del mondo privo di gusto ed insensibile
sentirsi superiori perché si è votato qualcosa, o anche solo per NON aver votato qlcs, o anche per non aver votato
superiori perché si hanno gusti musicali raffinati e si ascoltano gli Spring Heel Jack invece che Ligabue
sentirsi superiori come i miei, che si sentono appartenere ad un “ceto” privilegiato di gente colta con la casa piena di libri, che vota a sinistra e ascolta radio pop e non evade perché, anche volendo, non potrebbe
sentirsi superiori perché si è capito che quell’attentato che tutti credono che abbiano fatto gli A contro i B, in realtà se lo sono fatti gli A da soli per infangare i B

Voglio dire: se c’é proprio una cosa molto comune, è quella di sentirsi parte di una ristretta cerchia di “migliori”, “che hanno capito”, diversi da una gran massa di stupidi che vivono e pensano diversamente – è molto umano, anche se io ad una natura umana ci credo proprio poco (o anche ai geni, che mi fanno sempre venire in mente le inchieste del tipo: trovato il gene che spiega i gusti musicali delle persone!)
E mi sembra alla fine che un elitismo di questo tipo, di tutti questi tipi, sia proprio il peggior nemico della curiosità.. lo dico perché condivido molto invece quel discorso sulla curiosità.. tranne che, ancora una volta, mi sembra esagerato dire che “non si può insegnare”, pensare che sia una cosa innata.. sarebbe altrettanto assurdo pensare che sia solo un prodotto sociale, manipolabile a piacere dal sistema scolastico, ad esempio
(ancora una volta le mezze misure!)
se si può insegnare a NON essere curiosi (pensiamo ad un indottrinamento religioso ad esempio), ne consegue che si può stimolare ad essere curiosi
anche insegnando che NON si deve essere non-curiosi
e lo stesso discorso lo possiamo fare per la creatività allora, per l’imparare a esprimere una propria posizione, per quello che diceva bruno all’inizio
certo non si può insegnare TUTTO e con garanzia di risultato, pena quegli Hendrix paradossali di cui sopra
però non mi fido dei discorsi sui geni, che mi sembrano in fondo un sinonimo di quello che una volta avrebbero chiamato “destino” o “predestinazione”, concetti che ora ci sembrano medievaleggianti e stregoneschi..

mi spiace se ho esagerato in lunghezza
ringrazio bruno che a quanto pare riesce a stimolarci a questi simposi :-)

Giulio

PS: sul fatto che la nostra generazione si lamenti troppo, sono d’accordo.. o forse non si lamenta delle cose giuste? Questo però è un altro argomento

Anonimo ha detto...

Ancora grandi spunti! E s'i fossi M'Arcello Pera, urlerei alla trappola relativista per quanto hai scritto, ma grazie al cielo non mi chiamo come un frutto a forma di utero rovesciato :-)!
Giusto il paradosso degli Hendrix e dei Bauman: sono meno d'accordo però con la teoria secondo la quale ogni essere umano del pianeta non dovrebbe avere un motivo per sentirsi migliore del suo vicino. In termini teorici, potrebbe anche starci: ma tiriamo in mezzo un termine più old-fashion dei Durango, come "etica". Aggiunto questo stantìo ingrediente non riesco proprio a ragionare in termini di relativismo assoluto, incondizionato, a sentirmi parte di un oceanico gruppo di sei miliardi e rotti di pari sparsi per i cinque continenti, ( il cuoco ha tutto il mio rispetto, ci mancherebbe! ) ma credo che senza questo istinto di "sentirsi migliori" - o anche peggiori - il mondo non funzionerebbe più come lo vediamo oggi, e non credo che ci piacerebbe. I rapporti di potere, tengono in piedi questo strano pianeta: senza, ci scommetto, crolla.
Anche la "natura umana", altro non è che un prodotto: un prodotto "sociale" - per me è un elemento ormai come l'idrogeno - di migliaia di anni di storia, di vulgate, di cultura libresca e non, da un'iscrizione rupestre nel deserto del Sahara alla delirante tavola di acciaio spedita nella spazio con inciso l'Uomo Vitruviano. Però esiste, la vedo in azione, la sento pulsare nelle vene di chi commette atti prevedibili. E' come un pm10, ma ancora più sottile e tossico.
Al contrario, l'elitismo aiuta molto la curiosità, in un senso molto scorretto, se vogliamo: ma forse la storia del "osservare la realtà sociale con distacco da entomologo" la ricordo solo io, roba del primo anno se non sbaglio. L'entomologo prima ammazza le farfalle e poi punta spilli nelle loro ali per farne un quadretto. Ed è quello che provo a fare se sono su un treno, se passo per strada, se sono in metropolitana. Ci provo, ma mi accorgo di non avere gli strumenti (gli spilli) e, anche una volta staccato lo sguardo per vedere da lontano, scopro di avere ancora una volta la solita visione cubista e senza contorni netti che avevo prima.

g.

Gert_dal_pozzo ha detto...

- ATTENZIONE: QUELLO CHE SEGUE E’ UN DELIRIO, CONTORTO E FORSE DEL TUTTO SCONCLUSIONATO, SPROPOSITATAMENTE LUNGO E PROBABILMENTE FIN TROPPO PESANTE. L'HO SCRITTO IN STATO DI "NON PERFETTA AUTOCONSAPEVOLEZZA" E ALL'IDEA DI RILEGGERLO STAVO PER VOMITARE. LO LEGGETE A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO -

È splendido come da un mio ennesimo sfogo, nato dai vapori esalanti dalla bile versata (forse a sproposito…ultimamente mi sembra di mettere più energia nel farmi venire l’ulcera che nel fare altro), possa scaturire una discussione talmente accesa e stimolante (hehe…).
Prima di tutto vorrei fare una precisazione: nello scrivere il post stavo solo dando un’istantanea della mia personale amarezza e di quello che il mio gusto mi fa sembrare, ora come ora, desiderabile, visti i pacchi di frustrazione che la bicocca mi ingenera ultimamente. Molto probabilmente se studiassi in Inghilterra, alla lunga troverei da lamentarmi anche li, ma il punto non è questo. Quando si arriva a generalizzare si finisce spesso per parlare per assoluti, per essenze…il che è sacrosanto perché generalizzando si astrae e diventerebbe difficile fare altrimenti, ma resta il fatto che quando, come in questo caso, le discussioni prendono le mosse da un’esperienza concreta è ad essa che si deve guardare per comprendere la propensione verso un estremo o l’altro.
Mi spiego perché temo di non essere stato per nulla chiaro.
Come diceva Giulio (e a proposito, sono felice che tu alla fine abbia deciso di partecipare) nel concreto sono sempre la complementarietà e la commistione a risultare praticabili. Non parlo di via di mezzo intesa come media aritmetica esatta, anche perché tra citazionismo e “assertivismo” io posso preferire un 40 – 60, qualcun altro un 90 – 10, ma al di la delle misure, oltre le preferenze, un 100 – 0 (o viceversa) semplicemente non è realizzabile. Io sono in Bicocca, a sociologia, sento delle gravi carenze in una certa impostazione ed ovviamente tenderò ad esaltare la posizione opposta, ma, come per altro si può vedere nel post e nella replica, non intendo per questo che ciò che per me è eccessivo sparisca del tutto. Le citazioni, il rifarsi a chi prima di noi ha affrontato un tale problema, quel discorso dello stare sulle spalle dei giganti, sono cose irrinunciabili: ignorare del tutto l’enorme esperienza di chi ci ha preceduto è una ridicolaggine, e se non avessimo nulla da imparare, se non ce ne facessimo nulla dell’esperienza (in senso molto lato) di chi è venuto prima di noi, non avrebbe nemmeno senso andare a scuola…noi sociologi non avremmo un oggetto di studi!!
Non è una questione di presenza o assenza, non è una questione di acceso o spento, è una questione di modo e misura.
Non sono così ingenuo da pensare che “tutti dovrebbero essere buoni e comportarsi bene”, che i valori manifesti e sbandierati della moderna democrazia siano pacificamente quelli realmente seguiti e considerati, specialmente in Italia, o che non debbano fare i conti con meccaniche di natura economica e politica (in senso amplissimo); ho solo, riferendomi per altro ad una situazione reale (quella di Essex) espresso una preferenza, sottolineato una mancanza che sento.
Cosa mi fa schifo della bicocca l’ho già detto: esami, programmi, contenuti, nella maggior parti decisi senza nessuna attenzione alla didattica; completa assenza di un percorso formativo organico, per cui può capitare di fare mille corsi teorici di statistica generica, ma di non imparare mai ad applicare gli strumenti statistici allo studio della nostra materia (e ho fatto l’esempio della statistica solo perché è il più lampante); ripetizioni infinite e logoranti; evidenti prese per il culo da parte della “dirigenza” (e con questo intendo che praticano il bispensiero e parlano la neolingua di orwelliana memoria, dicendoci prima una cosa e poi l’esatto contrario e comportandosi come se il tutto dovesse essere perfettamente comprensibile)…
Con quest’inutile sfilza, che potrebbe anche essere molto più lunga e che potrei circostanziare meglio (abbiamo scritto pure una lettera di protesta), voglio dire che mi danno l’impressione, non solo di non voler “stimolare la mia curiosità”, ma di pulirsi grandemente il culo con la mia formazione, con le mie esigenze e con quelli che sono gli “obiettivi” che scrivono sulle brochure pubblicitarie (tranquilli, nessuno si aspettava che fossero verità di fatto quelle scritte sulle brochure, sarebbe antipublicitario dire la pura verità…solo che qui si arriva a descrivere decisamente un altro posto che non c’entra un cazzo con la bicocca). Certo, non sono tutti così, qualcuno si salva, ma la sensazione diffusa che l’esperienza della specialistica mi da è questa, che non conto un cazzo, e che sarà titanica l’impresa di ricavarci qualcosa di apprezzabile.
Si è detto che la nostra generazione si lamenta troppo…forse, ma secondo me il problema più grosso non è quanto si lamenta, ma il fatto che da questa lamentazione non riesce a far scaturire un cazzo, che non ci si mobilita a seguito di queste lagnanze, che non si agisce, che non ci si fa nulla, tendenzialmente ci si adagia, si accetta borbottando. Lo dico partendo anche in questo caso dalla mia personale esperienza: non avete idea di quanto è stato faticoso per me e pochi altri cercare di individuare e tenere insieme un gruppo significativo di studenti per fare anche solo una cosa scema come una lettera di protesta…eppure tutti erano incazzati neri. Lascio perdere qui questo discorso, perché mi sembra di portata davvero eccessiva e chiama in causa un miliardo di altre questioni abbastanza complesse (non ho intenzione, tanto per cominciare, di discutere sul fatto che noi ci si trovi nella postmodernità, nella modernità matura, o in quella compiuta).
Io non voglio/posso solo osservare la realtà, cosa che per altro, come ci insegnano da anni, un sociologo non può fare, visto che la realtà che osserviamo è in continuo cambiamento e cambia anche e soprattutto perché la stiamo osservando, voglio anche agirci in base alle mie osservazioni. Non voglio limitarmi a dire “le cose stanno così e non potrebbero stare altrimenti perché questa situazione si è evoluta in anni di storia” (che per altro è una contraddizione se si vuole proprio vedere), se la situazione stante diverge da come la vorrei, da come ritengo sarebbe giusto che fosse, voglio PROVARE a vedere, cosa nel mio piccolo posso fare (magari anche solo parlando) per farcela assomigliare. Non credo che la mia sia la posizione migliore, anche se da come l’ho esposta può sembrare diversamente, non esiste motivo assoluto e oggettivo per cui dovrebbe esserlo, è solo la mia, è quella che mi sento di enunciare, perché lo so benissimo che il mondo fa più schifo di quanto io non pensi, anzi, di quanto io non voglia pensare, che la responsabilità/colpa è anche mia, che molte delle cose che, sinceramente, penso e dico, a ben vedere potrebbero sembrare ipocrite, ma ognuno di motivazioni all’esistenza c’ha le sue, io c’ho queste ora e con queste evito di lasciarmi morire o ammazzarmi.

Anonimo ha detto...

secondo me si sta un po' travisando il tema centrale proposto dal buon bruno.. cioè, qui la questione non è la genialità, ma se l'università italiana e nel particolare la beneamata bicocca svolga o meno il suo ruolo nel formare le teste pensanti di domani..

da un lato è sicuramente vero che la massificazione dell'università ha avuto le sue conseguenze, ad esempio è chiaro che in un'aula di 300 persone è difficile proporre un insegnamento coinvolgente e stimolante che non si limiti a puro nozionismo e quindi è conseguente che sta poi al singolo studente, se lo vuole, andarsi a sbattere di più nell'approfondimento.. questo è fuori discussione..

tuttavia la cosa che a me disturba, e credo sia ciò a cui si riferisse bruno, è che anche al mutare di queste condizioni sfavorevoli non si ha un effettivo miglioramento.. mi spiego meglio: nelle aule di specialistica
(ma anche all'ultimo anno della triennale) al massimo ci sono una trentina di persone a lezione e quindi si potrebbe tranquillamente dar vita a un "apprendimento partecipato" eppure la maggior parte dei docenti si limita ad un approccio del tipo "io grande saggio dico a voi ignoranti cose che altri ancor più grandi saggi, scelti da me, hanno detto e voi le dovete credere".. il problema non è il nozionismo in sè ma un nozionismo che diventa spesso
dogmatico e fine a sè stesso.. non voglio dire che le mie idee e ciò che diceva Weber hanno la stessa autorità, sarei folle.. ma ciò che ci viene insegnato dovrebbe essere la base dalla quale partire per sviluppare la nostra visione e non il punto d'arrivo.. è l'approccio che è sbagliato è un approccio che contraddice l'essenza stessa dello studio universitario.. la lezione dovrebbe diventare il luogo della problematizzazione di quanto appena spiegato/appreso e purtroppo questo non avviene.. purtroppo ci sono sempre più professori legati al modello "prof-da-liceo" col programma tot da fare entro il giorno tot.. una merda!

per questo pur nella sua odiosa spocchia e inconcludenza preferisco dieci volte un corso come quello della calloni nel quale almeno si buttano sul piatto argomenti di attualità (non le solite ritrite teorie sui movimenti degli anni 70) che dovrebbero essere il nostro pane quotidiano e che invece sempre più vengono sistematicamente esclusi da qualsiasi insegnamento.. che poi nel caso specifico sia stato gestito in maniera un po' discutibile è un'altro problema, però il progetto era senza dubbio interessante e, spiace dirlo, eccezzionale..

in conclusione dunque lo strumento migliore della formazione (a parte lo studio ovviamente..) rimane secondo me il dibattito, inteso come scambio di idee e riflessioni e quale luogo se non l'università potrebbe essere più adatto?

brevemente sul discorso della genialità, io sono decisamente d'accordo con giulio nel dire che la persone con quel quid in più esistono (anche se spesso limitato ad un ambito ristretto, i veri fenomeni alla leonardo cioè sono decisamente rari..) ma che cmq questo sia determinante solo al top ovvero, perdonate l'esempio non molto calzante, tra chi si laurea con 110 e chi con 110 e lode..

sul fatto della curiosità poi distinguerei tra la curiosità vera propria, quella per intenderci tipica dell zabette che vogliono sapere tutto di tutti, e la curiosità intellettuale..
la prima è innata o quasi, la seconda è decisamente determinata dal contesto..

Basta! ho già detto troppe stronzate e non sono certo all'altezza dei commenti di cui sopra.. però volevo dire la mia..

marco

Anonimo ha detto...

merda bruno mi hai anticipato.. ma che cazzo ci fai ancora sveglio!?!

sei il migliore!!

marco

Gert_dal_pozzo ha detto...

UoU (e nn uso le W per antianglicismo istantaneo)!!! Anche Marco a postato...sono contento, era tempo che non ci si sperticava così, dal blog di g.

Non solo Marco ha postato, fingendosi non all'altezza (e tutti sanno che non sono certo alto), ma è anche riuscito a dire molte cose che volevo dire io con estrema chiarezza, mentre io mi sono perso in uno sbrodolo pazzesco...lucidità che va a puttane.
Cmq Quoto in pieno Mr.Dughy (cito nell'ambito di una discussione sulle citazioni heheehe) e mo vado pure a letto.

Anonimo ha detto...

Di nuovo spunti notevoli! Non sono poi così convinto che la Bicocca faccia così schifo, poi magari è colpa mia che non riesco mai ad appassionarmi a queste storie di disservizi statali e parastatali e preferisco spicciarmela in altro modo, o sopportare. Avete tutta la mia solidarietà: però la mia anglofilia mi porta a dire, con un pò di brutalità, che "what you see, is what you get". In che senso: Bicocca, università statale di recente fondazione, in zona ultraperiferica, disprezzata dai suoi stessi studenti ( a ragione o meno )...fateci caso, non intervistano mai Marcello Fontanesi, quando si parla di università milanesi. E' perchè non ha nulla da dire? Non penso. E' perchè è molto timido? Nemmeno. E' perchè non conta un cazzo tra i rettori? Fuochino! Perchè andare da lui quando ci sono Decleva ( che va bè, è anche presidente della conferenza dei rettori, mi pare ), oppure da Ballio del Politecnico, o magari, da Puglisi dell'agghiacciante IULM. Vedo sempre loro in quei box di testo con la fotina a colori, sul Corriere Milano, Fontanesi c'è una volta si e quattro no, gli altre cinque volte si e basta, e non credo succeda perchè i giornalisti trovano il telefono occupato. Di sicuro domani verrò smentito da uno speciale di trenta pagine dedicato solo a Fontanesi sul Venerdì di Repubblica, ma la sostanza è che la Bicocca è l'ultima arrivata, e deve ancora dimostrare di partorire qualcosa di decente. Avete presente quelle pubblicità della Cattolica, con celebrità varie e mediatiche che con sguardo acuto e serio sottolineano la loro provenienza dal beghino ateneo?
Quelli saremo noi tra una ventina d'anni, ma con uno sfondo rosso mattone U6/U7. E dico questo, sperando in una "profezia che si autoadempia" un pò perchè alla Bicocca ci sono sinceramente molto affezionato, un pò perchè ci abiterò per il resto dei miei giorni, un pò perchè spero che i nostri destini da università statale ultima arrivata in zona ultraperiferica e con professori svogliati e dogmatici, rompano il culo ai laureati nei vari Iulm, Bocconi, Cattolica, anche alla Statale stessa.
Fanculo loro e i loro chiostri.

g.

g.

Anonimo ha detto...

io,causa l'età,non mi esprimerò,la vedo come una cosa molto "vostra" e che deve rimanere così.

mi limito a dire che anche io sono molto d'accordo con Marco (esclusivamwente perchè mi ha offerto una birra l'altro ieri), con Bruno anche solo perchè è Bruno, con Giulio perchè è chiaramente impossibile non essere d'accordo con Giulio e con Gabry , persona che secondo me farà molta strada e non mi riferisco certo a quella che fa in macchina per gli articoli di cronaca vera, anche se forse questo non succederà in un tempo breve. Figuriamoci se non sono d'accordo con Sara!
fondamentalmente volevo farvi capire che.. SONO UN GRANDISSIMO LECCACULO!!!!

Scusate.. eravate troppo seri non ce l'ho fatta a resistere!

Anonimo ha detto...

Ahah, per ora il contachilometri di picci Toyota Corolla 1.6 Sw '98 segna 107mila km e rotti. Ho promesso a me stesso di non cambiare macchina fino ai duecentomila ( e quando sarà il momento prendere una Saab o una Subaru; Angelo hai qualche suggerimento? ), anzi, magari ai duecentoventiduemiladuecentoventidue km, un bel numero sincronico.

ciao!
g.

Anonimo ha detto...

una Saabaru ovviamente!
cmq puoi aspettare, la mia Passat del 2/88 1.8 a GPL ma non Sw ha sorpassato abbondantemente la soglia dei 270.000 e gode di ottima salute! insomma + o -.:)

Anonimo ha detto...

Sti grandissimi cazzi! Ti prego, arriva ai trecentomila!

g.