mercoledì, novembre 08, 2006

BUURRRPPP!!! (pesantezza)


Ci sono vuoti e vuoti: non tutti li puoi tappare infilandoci roba dentro. Ignorarlo significa che il vuoto resta vuoto, ma hai un terribile senso di pesantezza. Quanta materia sprecata, quanta energia accumulata in termini esclusivamente potenziali. Burp!

Una delle cose più fastidiose è quando il caso sembra troppo regolarmente casuale. Questo discorso dell'attribuzione autonoma di significati agli eventi può risultare spesso croccante, specie se ti senti sofisata, ma non lo sei fino in fondo.

E chi avrebbe mai pensato di essere tanto metereopatico?!

Conseguenza diretta: il tempo si incasina e sballa ogni regolarità, lo stesso, con i dovuti paragoni succede al sottoscritto. Non che sia particolarmente più ciclotimico del solito, ma è strano notare come la mancanza di regolarità metereologiche, si accompagni ad una mancanza di regolarità nel mio quotidiano.

Bush prende legnate, lui e i repubblicani. Per un attimo la cosa mi mette di buon umore, ma poi mi ricordo che sono in fase cinica.

Impengni che saltano come calvallette, progetti, inquinati da veleni che li preesistono, che vanno a farsi fottere per il poco impegno o nonostante l'impegno (mio e di altri), settimane che si svuotano e non riesco a riempire, mentre passano lentamente rapide e noiose. Isole felici di socialità più o meno occasionale, di brillantezza personale e di gruppo, mia e altrui, di affinità più o meno mediate, circondate da un mare di confusione.

Noia di me.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è chi se la passa peggio: per esempio un noto cantante partenopeo. Ecco, a volte il caso mi porta davanti a piccole meraviglie, come quella che notato poco fa su corriere.it . Nella parte bassa della pagina web si accumulano, divisi in categorie, articoli su vari argomenti. Nella categoria "Cultura e spettacoli" campaggiava questo titolo meraviglioso che volevo condividere con voi. MEROLA IN COMA - ASCOLTA LE SUE CANZONI. Una sintesi - e una sintassi - devastante delle condizioni di vita di un uomo melodico. Splendida poi, sul sito ilgiorno.it la galleria di foto dell'ospedale, con la moglie di Gigi d'Alessio e i figli di Mario Merola.
Un grazie a Giulio che ha capito la grandezza di questa notizia, che spazza via tutto il resto dalle farsesche elezioni mid-term in poi.

g.
g.

Gert_dal_pozzo ha detto...

eheh...partecipo anche io al tuo giubilo.

Anonimo ha detto...

Penso e poi ti rispondo, ma non credere di passarla liscia... :-)
bacione
Sh

Anonimo ha detto...

Una inutile anteprima di qualcosa:

RAW MAGazine.
Metafotografia

Non c’è nulla interamente in nostro potere, se non i nostri pensieri.
Cartesio

La vera pornografia oggi è la banalità, la vera oscenità è la nullità, l'insignificanza e la piattezza.
Jean Baudrillard


Ho fatto il liceo quindi ho dei vaghi ricordi di lezioni di filosofia. Ai tempi non ci piaceva e a chi piaceva credevamo fosse scemo. Non è una cosa pratica, a cosa serve, cosa ce ne facciamo. Va detto che non è che nelle materie di utilità più immediata fossimo dei mostri di attenzione, come per esempio in matematica. Anche lì tornava l’obiezione: ma a cosa serve? Già, a cosa serve? L’avremmo capito al primo 730 da compilare, alla prima rata di tassa sull’immondizia, al primo rogito, al primo mutuo, ma questa è un’altra storia. Dicevamo di lezioni di filosofia. Mi ricordo vagamente di Cartesio. Mi ricordo qualcosa del genere “come fai a essere certo che il mondo alle tue spalle continui ad esistere, come fai ad essere certo che l’Olanda, o semplicemente un’altra città esistano?”. Già come facevi, ai tempi di Cartesio? Senza comunicazioni di massa, senza telefoni, senza webcam, senza macchine fotografiche. Non potevi, semplice, e quindi era una speculazione filosofica sensata. Puoi essere ragionevolmente certo solo di quello che hai davanti agli occhi. Berlino? Potrebbe non esistere. Uno stabilimento abbandonato a Locate Triulzi? Potrebbe non essere. La redazione di un giornale? Potrebbe essere un parto dell’immaginazione di chi lo scrive. Se non lo vedi, non puoi essere certo che esista. Alcuni secoli dopo gli esseri umani di questo pianeta si erano annoiati di restare giorni in posa e prestare la propria immagine a quadri, tele, ritratti. Allora arrivano due persone, Louis Daguerre e Nicefore Niépce, che inventano un paio di cose destinate a segnare i nostri destini. Daguerre, siamo verso la fine del 1700, inventa il dagherrotipo. Daguerre è un tipo particolare:
Dal 1824 inizia a fare esperimenti per riuscire a fissare l'immagine ottenuta attraverso la camera oscura. Inizia una corrispondenza con Joseph Niépce e sei anni dopo la cui morte riuscirà a mettere a punto la tecnica che prenderà il suo nome, la dagherrotipia. Questa sarà resa pubblica nel 1839 dallo scienziato François Arago in due distinte sedute pubbliche presso l'Académie des Sciences e dell'Académie des Beaux Arts. L'invenzione, resa di pubblico dominio, frutterà all'autore una pensione vitalizia.

La prima fotografia mai scattata l’avrete vista in molti. Un panorama di campagna del 1826, sfocatissimo, sviluppato a partire da uno strato di bitume di Giudea, un supporto di peltro e otto ore di camera oscura. Il bitume di Giudea poi è una sostanza quasi alchemica, non so, a me fa venire in mente Cagliostro, Jodorowsky, cose come il solvente universale o l’elisir di lunga vita. Il bitume di Giudea. Questa prima foto ritrae quello che possiamo presumere Niépce vedesse dalla finestra di casa. La prima foto mai scattata. Anche la storia di Niépce non è male:

Joseph Nicéphore Niépce nasce a Chalon-sur-Saône da famiglia ricca e borghese. Dopo aver pensato di votarsi al sacerdozio e aver fatto parte delle armate rivoluzionarie, inizia ad interessarsi, col fratello Claude, ai fenomeni della luce e della camera oscura.
L'interesse per la produzione di immagini senza l'intervento dell'uomo gli venne dalla litografia: sperimentando diverse tecniche Niépce riesce ad ottenere, nel 1823 o nel 1826, la prima immagine disegnata dalla luce (dopo aver steso uno strato di bitume di Giudea su di un supporto di peltro e aver esposto la lastra così ottenuta per otto ore in una camera oscura) che definisce eliografia, la madre della moderna fotografia.
Nel 1827, durante un viaggio a Parigi, conosce Daguerre e Lemaitre che in seguito diventeranno suoi collaboratori. Nel 1828 fonda con Daguerre un'associazione per il perfezionamento dell'eliografia. Muore tuttavia prima di vedere riconosciuta l'importanza delle sue ricerche.

Quest’ultima frase è meravigliosa: lo stile asciutto di un’encyclopedie. “Muore tuttavia prima di vedere riconosciuta l’importanza delle sue ricerche”. Meraviglioso, straziante, ovvio. A voler fare gli enigmisti viene da pensare ad una piccola assonanza del nome Niépce: non vi ricorda qualcosa, magari un filosofo nato a Rocken, in Sassonia, che di nome faceva Nietzsche? A me si, e ora vi spiego anche il perché: Niépce uccide Cartesio, è semplice se ci pensate. Se non è direttamente sua la mano che compie materialmente il delitto, è quantomeno il mandante. A questo punto lo puoi sapere che Berlino esiste. Che lo stabilimento abbandonato a Locate Triulzi esiste. Che l’Olanda esiste. Basta fargli una foto. Dicevi che non esisteva? Ecco guarda questa: a me pare che esista, tu che ne dici? Nicephore Niépce si macchia quindi di un crimine destinato a compiacere generazioni di esseri umani, ancora ignari di tutto. Per Nietzsche invece, facendola breve, Dio è morto. Sono tutti una massa di criminali: qui c’è addirittura uno che fa dire a uno dei suoi alter ego, nella fattispecie Zarathustra, che Dio è morto. Poi lo dirà anche Guccini, che in comune con il filosofo di Rocken ha solo un eccesso di produzione pilifera sul volto e l’appartenenza al genere umano, ma ancora una volta, è un altro discorso. Quindi per ora abbiamo due assassini e un paio di vittime eccellenti, Dio e Cartesio. Mica gente da poco, il capomandamento e il mammasantissima, per usare dei termini da cronaca. Sono lì per terra, in una stradina della Sila, in una pozza di sangue, in un sottopassaggio dalle parti di Lambrate, sdraiati lungo un vicolo dei Quartieri Spagnoli. Il fatto è che l’arma del delitto non è una P38, né un corpo contundente, né un coltello ( mai come in questo caso l’amore s’è fatto rosso su una lama de cortello, potremmo dire ). L’arma del delitto è un virus. Si moltiplica, è come un’arma batteriologica, come un batterio che si moltiplica in continuazione, nutrendosi della hybris umana. Riesce ad infettare tutti, e tutti si lasciano contagiare da questa infezione che permette di iscrivere un secondo della propria vista in quel rettangolino di carta Kodak. Non c’è più bisogno di saper dipingere, c’è bisogno di saper fotografare. I quadri, sono vecchi, la fotografia è il nuovo. Facciamo conto di essere ancora a metà ottocento: fast forward al 1950. Le immagini ferme non ci bastano più e la televisione comincia a diventare un elettrodomestico di massa, almeno negli Stati Uniti. Mancano tredici anni alla conquista della Luna: altro che Cartesio, qui viene in mente il senno di Orlando finito sulla Luna. Ariosto comincia a non essere solo un letterato ma anche un condimento per arrosti e patate al forno, la situazione è grave: non c’è da preoccuparsi, peggiorerà. Solo che non è un sogno, non è una favola, ma qualcuno ci finisce davvero su quel freddo pezzo di spazio in bianco nel cielo. Le storie degli astronauti che camminarono sulla Luna sono quanto di più triste si possa ascoltare: innanzitutto sono pochi, e ancora meno sono quelli che dall’esperienza sono usciti sani, è una strana parabola di questa metafora del progresso – e di nuovo della hybris umana – che è stata la conquista dello spazio. Dallo spazio fotografano la terra: ci sono queste immagini che prima degli astronauti avrebbe potuto scattare solo Dio con la sua Nikomat ( Dio usa Nikon, forse Hasselblad ) che rendono l’idea di un paio di cose, della solitudine umana nel cosmo e della bellezza che nasce dall’osservare da lontano. Come in un quadro cubista l’immagine osservata da lontano rende l’idea del complesso insieme composto dai tratti spezzati del ritratto. Pensate al ritratto di Ambrose Vollard di Picasso per esempio, pensate di osservarlo da dieci centimetri di distanza e poi da un paio di metri di distanza. La differenza non è proprio da poco. Agli umani per completare, per capire appieno, mancava il campo più lungo immaginabile, quello dallo spazio. Abbiamo poi avuto satelliti, telescopi in grado di scrutare angoli del cosmo dove ostinatamente non si trovava nulla di vivo. Fino al definitivo Google Earth. Quello in effetti ci ha un po’ spiazzato, vederci dall’alto, le nostre insignificanti case e le nostre insignificante strade ridotte alla infinitesimale frazione di un intero che in pratica ha una fine, ma è una fine apparente, che è sempre un nuovo inizio. Penso a tutto questo, e mi viene in mente una frase di Baudrillard:

Le immagini sono diventate il nostro vero oggetto sessuale, l’oggetto del nostro desiderio.

Hai voglia a dar torto a un idolo. La solita storia del “beati i popoli che non hanno bisogno di eroi” beati gli uomini che non hanno bisogno di eroi. O di idoli, in fondo, fa lo stesso. A cercare di approfondire la visione di Baudrillard, di questa immagine che diventa oggetto del desiderio, non più fotografia descrittiva – o meglio, anche, ma di uno stato d’animo in perenne eccitazione – passiamo da una bambina ustionata dal napalm in Vietnam a un detenuto iracheno con un guinzaglio da cane. Attraversiamo indifferenti i set di un reality show, passeggiamo su montagne di cadaveri, ci masturbiamo tranquillamente, come nulla fosse, davanti ad un osceno di massa che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Oltre l’osceno, oltre il postmoderno, oltre la pornografia di massa (la terza industria del pianeta dopo armi e droga, fonte inattendibile, è la mia memoria a darmi questi inaffidabili dati) per Baudrillard,

l’“estasi della comunicazione” significa che il soggetto è vicino alle immagini istantanee e all’informazione, in un mondo sovraesposto e trasparente. In questa situazione, il soggetto “diventa un mero schermo, una semplice superficie che assorbe e riassorbe le reti influenti”. In altre parole, un individuo nel mondo postmoderno diventa semplicemente un’entità influenzata dai media, dall’esperienza tecnologica e dall’iperreale.

Come dire meglio: non è nei grandi fratelli la vera pornografia, lì al limite c’è il suo contrario, c’è il nulla. Come si inserisce in tutto questo la metafotografia? Prima di tutto intendiamoci sul termine. Con il prefisso meta- si intende: at a higher stage of development; transformation; beyond; transcending; having undergone metamorphosis . Un nuovo sviluppo quindi, una trasformazione, un oltre. Lo stesso oltre che aveva raggiunto Prometeo rubando il fuoco? Non ne sono sicuro, ma qualcosa che vi si avvicina molto, almeno per come la vedo io. Ma è soprattutto l’ultima frase a cui dobbiamo fare attenzione: having undergone metamorphosis. Metamorfosi: come un bruco che diventa una farfalla. L’infezione di cui dicevamo poche righe sopra, quella che contagia l’umanità che inizia a scattare miliardi di foto, un archivio inimmaginabile, senza fine, fatto di essenziale, di inutile, di meraviglioso e di orribile, quella che nasce dalla hybris di Prometeo, pian piano arriva ad un nuovo stadio. Parte da quella casa di campagna sfocata che Niepce fotografa in un giorno qualunque del 1826 e arriva fino ad oggi: nel mezzo, tutto. Il virus muta, compie la sua piccola e apparentemente insignificante metamorfosi. Cambia tutto: è una cosa che avviene in questi ultimi anni, diciamo negli ultimi quindici, non di più. Per qualcuno, per qualcuno che sapeva vedere lontano più degli altri era cominciata molto prima (mi viene in mente Antonin Artaud per esempio) per tutti gli altri il bello arriva adesso. Nella rete, vero motore immobile di questa epoca, ci sono molte testimonianze interessanti di questo genere di mutazione, di metamorfosi: per esempio www.ishotmyself.com è il genere di sito che non dovreste far vedere alla vostra ragazza, o forse a vostra moglie. Se la lettrice è una signora, mi scuso in anticipo. All’interno si trovano decine di foto di giovani artiste intente ad autofotografarsi. Nude, o seminude, ovvio. Forse alcune di queste foto le potete vedere con i vostri stessi occhi nelle pagine di questa rivista. C’è una strana tensione erotica all’interno di queste immagini, qualcuno forse lo chiamerebbe il grado zero della metafotografia. Qualcun altro magari un po’ più bigotto chiamerebbe tutto questo semplicemente pornografia, tenendo buona una sola parte del suffisso. Con cosa ci dobbiamo confrontare? Con il corpo che si autoritrae. Lo stesso genere di tensione, che ritroviamo nei molti progetti di one-photo-a-day persone in giro per il globo che si fotografano ogni giorno che dio manda in terra per vedere dopo un anno se sono ingrassate dimagrite peggiorate migliorate o se, come più probabile, sono perfettamente identiche ( agli occhi altrui, meno attenti ) ad un anno prima. C’è anche chi ha portato avanti questo progetto per anni, ripetendo ogni anno la stessa foto, nella stessa posa, nello stesso luogo. E addirittura un regista che ha seguito per decenni le vite di alcune persone, dall’adolescenza all’età adulta, tornando ogni anno a vedere cosa avevano combinato: chi era ricco, chi divorziava, chi diventava un barbone, chi se la passava bene, chi se la passava male.
Se la vera pornografia oggi è la banalità e la vera oscenità la nullità, abbiamo centrato il bersaglio in pieno: o forse non potremmo esserne più lontani.

Gabriele Ferraresi

Gert_dal_pozzo ha detto...

Ho compreso due cose:

A) il fatto che, se mai ci fosse bisogno di ulteriori conferme, hai scelto la strada giusta per te g. (anzi, g. g.)

B) il perchè tu abbia terminato la tua esperienza di blogger.

Anonimo ha detto...

gabriele....sei messo male x avere solo 24anni...ls

Anonimo ha detto...

Il mio 730 dice il contrario.

g.

Gert_dal_pozzo ha detto...

Adoro quest'acido cinismo, specie dopo la visione di The Departed di Scorsese

Anonimo ha detto...

1)ragazzi..(e notate l'inizio) quì quello messo male sono io e vorrei che nessuno mi rompesse il cazzo su sta cosa, pretendo l'esclusiva,pena l'eliminazione del potenziale avversario
2)gabry tu sei chiaramente pazzo, il tuo 730 non può dire il contrario,le automobili (una bmw in questo caso) non parlano (sempre ammesso che non abbiano il navigatore satellitare,nel qual caso non saresti per niente pazzo).
3) il dagherrotipo! è stato citato in un recentissimo tex willer!!
4)odio profondamente cartesio perchè sosteneva, sto bastardo maledetto, che gli animali sono degli automi,semplici strumenti umani, è stato fortunato a morire prima che nascessi io.
5)cmq.. se avessi vissuto ai suoi tempi credo che, ammettendo che abitassi a milano, non me ne sarebbe fregato un cazzo di sapere se amsterdam esisteva davvero o no, tanto i camper per andarci non c'erano ancora.
6)l'unica cosa che conosco di cagliostro è il castello dove si è svolto un fantastico oav di lupin III
7) ho anche ricordi di Aulla.. ci son stato in discoteca,chissà perchè.
8) sono d'accordo con God Bruno è chiaro che quella che stai percorrendo sia inevitabilemente la tua strada Gabry.