lunedì, giugno 25, 2007

La donna perfetta (parte seconda)


- Ecco la seconda parte. Sicuramente non è quello che molti tra coloro che hanno letto la prima si aspettavano e sicuramente non sarà l'ultima parte, ma mi è venuto da scriverla ed è uscita così. vedete un pò voi se vi piace e poi fatemi sapere nei modi consueti. PS: mi sono accorto di vari errori nella parte precedente, soprattutto ripetizioni e punteggiatura. Andrò correggendoli, anche se non ora che ho sonno -

- Cazzate! E’ solo che non l’ho ancora trovata come la voglio!

- Sei tu a dire cazzate, ti spari di quei viaggi assurdi! Ogni volta che ne trovi una che ci si avvicina...trac! Rivedi la cosa al rialzo. La verità è che sei un cacasotto. Guarda che comunque non c’è nessun problema, se vuoi continuare ad aver paura delle relazioni fai pure, basta che lo ammetti a te stesso.

Alberto guardò l’amico con sufficienza: di critiche di quel genere ne aveva ricevute in abbondanza, ma recedere dal suo fermo convincimento non era opzione possibile.

- Forse a te fa piacere raccontartela così, a te basta “accontentarti” perché credi non valga la pena aspettare per ottenere ciò che veramente si desidera. Beh è un problema tuo, se io la incontrassi saprei che è lei ed ogni altra discussione, pensiero, paranoia sarebbe superflua.

Francesca che fino a quel momento era rimasta concentrata sulla guida, non potè esimersi da un commento, sentendosi lei stessa indirettamente colpita.

- Mi spiace dovertelo dire ma penso anche io che ti stia nascondendo dietro ad un dito. Parli di “Lei” come se fosse una persona concreta, ma invece sta solo nella tua testa e non pare tu le voglia dare nessuna chance per concretizzarsi. Prendi Roberta: è carina, intelligente e simpatica, che cazzo ti è passato in testa di piantarla così?

- Si, si, era tutte quelle cose, senz’altro, ma mi si abbandonava troppo, perdeva ogni inziativa…

Riccardo era veramente infastidito: ascoltava Alberto dire idiozie sulla sua donna ideale ormai da troppo tempo, parlargli era inutile, tanti e tali erano i cavilli logici dietro cui si barricava che era impossibile fargli venire un qualsivoglia dubbio. Aveva una gran voglia di spaccargli quella testaccia dura.

- Porca troia! Ma è possibile che ti debba sentire dire sempre le stesse stronzate!?!? Le piacevi e non mi pare che lei “si fosse annullata in te” o cazzate del genere, cercava solo di avvicinarti, ma figurati, tu sei troppo delicato, troppo sofisticato per dare confidenza ad un essere umano del sesso opposto. Continua così e comincerò a pensare che sei gay!

Francesca che, avendo deciso di lasciare perdere quella contesa, scontata in partenza, ascoltava della discussione un brano si e uno nò,

- Che c’entrano adesso i gay, ma è possibile che voi maschi la dobbiate fare finire sempre con manifestazioni di omofobia da parata e machismo da accatto?

- Cazzo Francesca puoi evitare? Guida cristo! Guida! Stiamo parlando io e lui, puoi farti i cazzi tuoi per una volta?

Riccardo avrebbe pagato quel suo eccesso, ma Francesca decise che non sarebbe stato quello il momento. Prese l’adeguato appunto mentale e tornò a concentrarsi sulla guida con una faccia che prometteva niente di meno che qualcosa di piacevole come una ceretta inguinale.

Alberto, annoiato dall’essersi trovato per l’ennesima volta a spiegare la sua filosofia riguardo i rapporti di coppia, si perdeva con lo sguardo a seguire i profili morbidi di colline verdi sotto il cielo grigio che instancabile rigurgitava mestizia invernale, particolarmente fastidiosa quando hai il cervello in loop su qualcosa che non ti torna.

Infondo dimostrava, su quei discorsi, più sicurezza di quanta realmente ne avesse. Va bene mantenersi fedeli alla linea, ma di tempo ne era passato veramente troppo e l’idea che fosse lui a decidere che non doveva viversela bene, in attesa di una ragazza che ovviamente non poteva esistere, visto che lui stesso faceva in modo che non esistesse per non rischiare di essere felice, lo stava tormentando sempre più spesso.

Il vociare collerico dell’amico divenne un sottofondo indistinto con la radio, il rumore del motore e dei clacson delle macchine in coda. L’unico suono che veramente ascoltava era quello dello scrosciare intenso della pioggia sui vetri appannati che, del panorama, sempre meno concedevano ai suoi occhi distratti, diagonale, lui, sul sedile posteriore della lancia ipsilon.

---- ooo ----

Si accese una sigaretta, più per noia che per concreto desiderio. Certo, avrebbe pure potuto sfilare dallo zaino “I pilastri della terra” di Follet, gli mancava poco per finirlo e il romanzo lo avvinceva molto, ma era preso da un attacco acuto di noia esistenziale totale e qualsiasi altra cosa, a parte rimuginare, gli pareva insopportabilmente pesante.

Il vento gelido, dopo pochi minuti, faceva sembrare naso e orecchie corpi estranei, pronti a cadere a terra frantumandosi al primo strattone. I pochi futuri passeggeri di treno che condividevano il marciapiede del binario uno con lui cercavano riparo dalle raffiche dietro alle quadrate colonne della pensilina.

Un ragazzo armeggiava con un accendino da cinque minuti buoni, senza alcuna fortuna, accumulando rabbia ad ogni scintilla. Una ragazza fissava un opuscolo senza minimamente vederlo, con la faccia triste che puoi avere solo d’inverno, solo se fa freddo e tira vento. La segretaria della segreteria studenti, con la minigonna e i collant neri, seduta sulla panchina, dondolava le gambe annoiata pensando, forse, a quando, anni fa, non le riusciva così difficile sentirsi carina vestita in quel modo.

Alberto contemplava quel mondo buio, crepuscolare, con la superiorità di chi sa quello che vuole, ma contemporaneamente affascinato come chi osserva qualcosa di evidentemente fragile che gli ricorda una fragilità propria, spesso maldestrampente celata.

La ragazza con i corti capelli castani, il nasino impertinente e i profondi occhi azzurri…forse…no, in realtà no, troppo tirata, sicuramente fighetta, magari anche intelligente, ma sicuramente più superficiale, troppo legata ad un’estetica scontata per poterlo apprezzare, per poter cogliere la sua interiorità.

Una mora, appoggiata alla colonna sotto i tabelloni elettronici. Sembra aver carattere, ed ha pure un fisico mica male: guarda che tette…ma no, troppo indipendente, troppo sicura: ok una ragazza che non si faccia schiacciare, che non annulli la sua personalità nel rapporto, ma una così! Che cazzo poteva offrirle? No, sicuramente per lei ci voleva uno molto sicuro di sé e lui, Alberto, di certo non lo era abbastanza, non per lei.

Quell’analisi delle possibilità, scontata negli esiti, andò avanti per non più di dieci minuti, poi arrivò il treno e con esso l’improba scelta tra carrozza frigorifero e carrozza inferno con battiscopa arroventato in grado di squagliare suole di gomma. Il viaggio si sintetizzò in un sonno untuoso ma stranamente riposante, seppur breve.

lunedì, giugno 18, 2007

Finding Myself (repeatedly)


Il mio senso morale scalpita e scopro di essere come non pensavo, o forse, di essere come non volevo pensare di essere e come infondo sapevo di essere...

Forse...ma comunque non è così semplice, la trappola del buono-cattivo, sinistra-destra, e altre dicotomie totalizzanti del genere è perennemente in agguato.

Non si può risolvere tutto in ero bianco (o rosso, o giallo, ecc.) e adesso sono nero, nel frattempo sono anche cresciuto, maturato (credo) se forse ho sempre voluto ignorare certe congenite tendenze, certi moti dell'animo a favore di altri, questo non vuol dire ne che, in effetti, ho "sempre saputo esattamente come sono fatto ed ho cercato di essere in uno specifico altro modo", vuol dire solo , come credo sia normale fino ad una certa età, seppure ovviamente a modo mio e nella mia misura, che ho sempre rifuggito una definizione di me stesso sufficientemente consapevole e attenta (anche qui, non certo per tutto: certi caratteri me li attribuisco da tempo con vigore).

Oltre a ciò è vero anche che chi sono, anche questo ovvio, non è qualcosa di statico: non imparo ad essere me stesso in senso stretto, ma in senso lato; non raggiungo qualcosa che c'è sempre stato e che ha sempre avuto una certa forma, ma cerco forse di avere una maggiore consapevolezza ed anche un minimo di controllo su ciò che divengo, pur nel suo fluire continuo.

Sono un pò spaesato, ma cerco di relativizzare il relativismo che era, paradossalmente diventato granitico nella sua informità, intransigente e rigido; di apprezzare le idee perchè sono idee che trovo apprezzabili e non per essere apprezzato a priori.

L'età adulta che incombe porta con se la sua sclerosi? Forse, forse no, infondo non credo che cercare un minimo di autodefinizione mi priverà di apertura e flessibilità mentale.

domenica, giugno 17, 2007

La donna perfetta (parte prima)


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A seguire la prima parte di un racconto che mi è nato in mente nelle ultime ore di veglia di questo sabato sera inaspettatamente casalingo, stimolato da alcune singolari letture. La seconda parte sarà, spero (tempo e voglia permettendo), disponibile a breve su questo stesso blog e dovrebbe rendere un pò più intelleggibile quanto raccontato.

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Incedeva con passo soave al centro del locale.

Di bruti puteolenti ve n'eran un bel pò, tanto che il miasma intenso che esalavasi dai loro corpi dava all'aere consistenza oleosa.

Avrebbe, per quanto le concerneva, potuto pure trovarsi nel bel mezzo di un roseto odoroso, sarebbe stata la medesima cosa.

Da quelle facce, ora adunche, ora grumose, callose, rugose, sdentate, sfregiate, si levavano sguardi bramosi, talmente puntuti e violenti che avrebbero potuto facilmente penetrare la di lei candida pelle ed inquisirne le carni sode in profondità, se non fosse stato per la sonante armatura della sua indifferenza.

Il locale era angusto, l'aria pesante e il soffitto basso che, tra quello e la nebbia di sigari e sigarette, sembrava non si potesse camminar ritti: a stento l'incanto fluente dei lucenti capelli corvini e quello malizioso degli intensi occhi blu si potevano scorgere.

Ad ogni passo i tacchi picchiavano decisi sul ruvido e lurido pavimento, ad ogni passo un rumore secco spezzava il silenzio gorgogliante calato sulla stamberga, accompagnando il crescere feroce di testicolari attenzioni.

I seni, perfetti in forma e dimensione, di un turgore innaturale, eppure evidentemente non artificiale, seguivano appena il sussultorio movimento dettato dall'incedere da modella, un piede avanti all'altro a deridere ogni legge d'equilibrio, che le lunghe gambe tornite imponevano a quella prorompente manifestazione.

Puntuali, e solo lo stupore momentaneo aveva forse potuto minimamente ritardarli, arrivarono prima i fischi e poi i commenti, sempre più grevi, di energumeni appollaiati su trespoli sgabellari, assiepati intorno a tavoli che avrebbero dovuto essere di un verde assai più brillante e meno macchiaiolo.

Eppure lei avanzava, inguainata nella teoria di vestiti che, lungi dal voler coprire, rendevano più-che-nudi. Non c'era in lei la minima cura per l'intorno, il suo fatale scopo assorbiva ogni attenzione, d’altronde null'altro avrebbe potuto tangerla.

Mentre già i più gagliardi, lasciate le loro postazioni, si facevano prossimi a quel desiderio incarnato, le mani grifagne pronte a ghermirne le forme appetitose, linguacce luride dibattentisi tra le fauci, uno solo tra gli avventori mostrava tutt'altro atteggiamento. Incuneato talmente in un angolo da sembrare un altorilievo del muro grigiastro, sudava, batteva i denti, sgranati gli occhi non mostrava certo libidine o concupiscenza.

Ad ogni passo risonante indirizzato verso di lui, accentuava la sua agitazione, il suo nervosismo, la sua ormai evidente paura. Dalla paura passò al terrore feroce quando la donna, ormai a non più di mezzo metro da lui, si fermò allargando le gambe. Con le mani si straziava il viso, la bocca aperta spalancata senza che ne uscisse altro suono che un rantolo soffocato, lacrime brucianti scendevano lente e calde sulla pelle straziata.

Labbra perfette si curvarono in un sorriso appena accennato e terribilmente affilato

- Come, io sono qui, davanti a te, esattamente come tu mi hai desiderata e tu tremi di paura? Guardami: capelli neri d'onice, occhi blu anima, labbra rosso desiderio, pelle candida e profumata, vellutata come seta, seni superbi e sodi, glutei alti e tonici, gambe lunghe e tornite. Sono intelligente, spiritosa e acuta, colta e simpatica, non mi difetta nè la leggerezza, nè la profondità, so essere discreta e avvolgente, affettuosa e seducente, ti so far gemere, ridere, sospirare, pensare, desiderare...sono esattamente come mi hai sempre desiderata...eppure...non hai saputo amarmi.

Con un filo di bava colantegli, la mandibola sventolò impacciato, tendendo un braccio, il palmo aperto, verso di lei.

- Perfavore, perfavore... - disse piangente - io no sapevo...non lo sapevo...pensavo che ci sarei riuscito, lo credevo davvero...io...ti prego...non voglio morire.

Il sorriso si fece ora ghigno, gli occhi due abissi di ferale furia, eppure la voce rimase controllata, adesso forse gelida.

- Piangi il tuo desiderio. La tua sorte non ti è stata imposta, l'hai scelta, la tua brama ti ha condotto ove sei ora ed hai scelto tu la forma, il volto che avrebbe avuto la tua morte, la tua nemesi, guardalo ora. Con un bacio tutto è iniziato...con un bacio tutto finirà.

Immobilizzato da uno sguardo, puntellato poi da candide braccia contro il muro, mentre dentro il cuore accennava a esplodere ed i visceri erano in tormento, il ragazzo non riuscì a far nulla più che lasciare, impotente, che fatali labbra aderissero alle sue.

Dopo un bacio che si sarebbe potuto definire delicato, non appena la superficie rorida e delicata di lei si fu congedata da quella secca e febbricitante di lui, la pelle del ragazzo prese a divenir più grigia delle grigie pareti in cui aveva tentato di sparire, gli occhi si liquefecero, colando in rivoletti gelatinosi per la stessa via che era stata delle lacrime, poi caddero tutti i capelli, come degli alberi le foglie in autunno, dunque le gengive, scoperte da labbra ormai arricciate fino a sparire, si ritirarono marcendo e ad uno ad uno i denti se ne staccarono, seguiti dalla lingua che, nera e secca, ruzzolò fuori dalla bocca muta, perso la radice ogni appiglio sulla polpa. Venne poi il corpo tutto, le cui carni si sfaldarono con squarci profondi, staccandosi dall'impalcatura dello scheletro e cadendo flaccide al suolo, scivolando in larghi brani da sotto i vestiti come enormi lumache.

In breve tutto si dissolse in un maleodorante liquore nerastro, il cui tanfo si sentiva nonostante l'aria viziata.

Ogni altro presente impietrito rimirava la scena, con gran copia di sigarette che, prima precariamente incollati a labbra inferiori, finivano poi per cadere, ora a terra, ora dentro luridi boccali di birra, ora dentro ciotole incrinate piene d'arachidi.

Com'era apparsa, rapida e ancheggiante, la donna sparì prendendo la porta del locale ed uscendone. Alcuni tra gli avventori giurarono poi di averla vista diventar traslucida, fin quasi a sparire, ripercorrendo a ritroso il proprio cammino. Altri affermavano invece dissero che, camminando verso l'uscita, perdeva le sue fattezze, le sue forme, i suoi lineamenti, diventando come cosa indistinta, fatta solo di etere denso e null'altro. Tutti sostennero che, usciti dal locale dopo l'iniziale sbigottimento, non videro altro che il vicolo vuoto, lurido come sempre, spazzato da una gelida brezza notturna, sotto il limpido sguardo della luna.

lunedì, giugno 11, 2007

Alien/idem

“Veramente strano...”

Disse l'alieno.

“Occasionalmente mi faccio di beat, occasionalmente però, mai con troppa assiduità o regolarità: la straniazione è il mio pane, la straniazione è il mio pene”

Rosso l'alieno...rosso, il colore della passione, della rabbia, della vita.

“Rosso è il sangue. Il sangue scorre sotto la pelle. La vita scorre sotto la pelle”

“La certezza non è mai più che un istante, ma gli istanti possono dilatarsi...si dilatano si, ma mai all'infinito”

“La vita è ordine, la vita è caos. Il cambiamento e la stasi copulano allegri, fottendosene della limitatezza nel concepire di chi li guarda, copulano e figliano vita, esistenza. Stremati sognano il possibile dopo aver generato il reale”

Ancora si interroga l'alieno mentre avanza per vicoli brulicanti, scuri e bui, illuminati da infiniti mozziconi ardenti, da infiniti occhi lucenti.

"E' umido..."

Nota l'alieno...e avanza.

I corpi sono avviluppati e sporchi, unti mentre scivolano l'uno sull'altro.

"C'è dolore e sofferenza..."

Dice,

"C'è godimento e desiderio..."

Scende scale larghe e tortuose, un budello nel ventre di palazzi altissimi, grigi, fatiscenti e gravi di muschi. La luce è molto più alta, nebulosa.

In quelle profondità i corpi sono molteplici, in ogni angolo e anfratto, abbandonati su ogni gradino, adagiati contro muri di mattoni sbrecciati.

Si muovono i corpi, ora sincopati, ora sinuosi, l'uno sull'altro e tra loro. Cala l'alieno in quei visceri urbani. Distinto si sente il suono…il beat…le pareti vibrano...ogni cavità di quei corpi è cassa di risonanza per quella vibrazione profonda.

Ora batte anche dentro l’alieno.

Un’alta arcata, appuntita e stretta alla fine di quella scala. Oltre la soglia il buio e totale, ma si sente frescura, un fluire liquido, uno sgorgare, un odore penetrante che gli sommuove i visceri, ma è profumo, solo molto più interno e carnale.

Varca la soglia l’alieno e sparisce nel suono, sparisce nell’odore, sparisce nel contatto e nel calore, nell’oscurità umida…e non è più alieno.

sabato, giugno 09, 2007

Occhiali...


Porto occhiali nuovi per vedere da lontano...

Sotto la luce più forte mi proteggono dal riflesso, così che ogni paesaggio mi appare definito in ogni suo minuto particolare, tagliente, assurdamente preciso.

Noto infinite somiglianze con infinite persone, a volte sono io che mi proietto fuori da me per guardarmi meglio (con un paio di occhiali nuovi), a volte ho la reale certezza di aver percorso la stessa strada (e quando dico stessa intendo proprio quella, con un grado di approssimazione assai buono), provato le stesse cose.

Alla faccia del "siamo tutti soli" e corollari.

Porto occhiali nuovi per vedere da lontano, ma avere una facoltà nuova a cui abiruarsi richiede tempo e ancora non sono nè profeta nè pianificatore.

Anche questa volta non scrivo gran che d'interessante, ma continua a dispiacermi troppo lasciarlo finire...(il blog)