- Video tratto dal film "Il grande Lebowski" dei fratelli Coen -
Davanti alla stazione stamattina c'era un vecchio barbone piuttosto malmesso che, con un cellulare evidentemente scassato in mano, fermava chiunque avesse tratti somatici orientali chiedendogli di aggiustarlo. Singolare.
Pensavo, camminando verso Piazza Repubblica, a come cambiano certe cose. Io sono un pò pazzo, a volte mi capita di parlare da solo ad alta voce, non spesso, soprattutto ultimamente. Va da sé che la cosa può essere foriera di un certo imbarazzo, ma, da qualche anno a questa parte, il principio di casualità mi ha fatto un regalo: l'enorme diffusione degli auricolari più o meno wireless, più o meno dente blu. Ora, se per caso dovesse capitarmi di parlare ad alta voce con me stesso, rendendomi conto della cosa potrei sempre portare la mano all'orecchio fingendo di cercare di eliminare il rumore ambientale per sentire meglio quando vibra fuori dal mio (immaginario) gadget tecnologico.
La cosa più divertente? Il mio penultimo cellulare, che il signore dei microchip lo abbia sempre in gloria, comprendeva un auricolare dente blu in omaggio, beh, ho sempre avuto delle remore ad usarlo perchè mi vergognavo.
C'è un vecchietto (un'altro) sotto i portici che tutte le mattine chiede cantilenando "un pezzo di pane" e non interrompe la sua nenia che gli si dia qualcosa o no, va avanti come in automatico. Gli ho dato decisamente meno monete di quanto la mia coscienza ritenesse sufficienti per non pungolarmi ogni mattina. Stamattina il vecchietto non c'era più e non c'era nemmeno ieri e nemmeno l'altro ieri. La mia coscienza al momento nota ancora l'assenza e mi pungola, ricordandomi quante monetine avrei potuto dargli. Ma è la coscenza di un uomo pigro ed è pigra anch'essa, come pure la memoria, presto si annoierà e cercherà qualche altro motivo per pungolarmi. Stamattina faceva davvero freddo.
Un tizio, stavolta giovane, esce fuori dalla metropolitana e fa qualche passo con l'aria tranquilla, si ferma vicino ad una colonna e vomita l'anima, si ripulisce la bocca velocemente e poi, come nulla fosse, con grande naturalezza riscende in metro fischiettando. Suppongo sia solo questione di abitudene.
Fare l'autista di pullman dev'essere un lavoro estremamente frustrante e abbrutente. Un autista della 81 è riuscito a collezionare ben tre atti di razzismo in circa 10 minuti.
- Minuto 0: il pullman è ancora fermo al capolinea, manca pochissimo all'orario di partenza e una signora, probabilmente cinese, si avvicina al mezzo spingendo una carrozzina e un'altra bambina tenuta per mano. L'autista chiude le porte appena qualche secondo prima che la donna possa passarvi attraverso. Non parte subito, aspetta che la donna si avvicini e bussi al vetro chiedendo di salire. "Non si lavora così! Bisogna essere puntuali! Qui è così che si fa, magari nel tuo paese no, ma qui si". Sciorinata la lezione si decide a partire, lasciando ovviamente la signora a piedi. Noi ci si limita a pensare che infondo avrebbe anche potuto farla salire, ma non si dice niente.
- Minuto 4: il pullman passa davanti ad una fermata a chiamata. Nessuno l'ha prenotata, ma alla pensilina, due ragazzi neri, stracarichi di sacchi della spesa, si sbracciano cercando di far capire che devono prendere l'autobus. Ovviamente l'autista tira dritto. Interessante notare che la prossima corsa non passerà prima di 20 minuti. Io non me n'ero accorto, me lo si fa notare, ci si indigna e si continua a non dir nulla.
- Minuto 7: Stavolta alla fermata ci sono due signore bianche e altri due ragazzi neri. Uno dei due fuma. Il pullman si ferma e le due signore salgono davanti, i ragazzi fanno per entrare dietro e quello che stava fumando getta la sigaretta avviandosi. La porta viene loro chiusa in faccia. Cercano allora quella centrale, ma la scena si ripete, raggiungono la testa del mezzo ed entrano li. Appena saliti, l'autista attacca una predica assurda accusando uno dei ragazzi di voler salire sul pullman fumando. Quando quello gli fa notare che lui la sigaretta l'ha buttata prima di entrare, l'autista continua "fumavi appena prima di entrare, entra tutto il fumo in vettura, questa qua non è educazione", va avanti per minuti interi. Il ragazzo che non fumava cerca di mettere pace, calmando l'amico che è più facile all'ira e ha tutti i motivi per farsela venire. La Cosa continua fino alla fermata successiva, tra lagnanze pretestuose mezze in italiano mezze in dialetto e insulti nervosi in inglese con accento jamaicano. Noi scendiamo con i due ragazzi. Siamo decisamente basiti ed è forse per questo che non abbiamo detto niente nemmeno stavolta.
C'è un confine molto sottile tra comunicare ed informare e c'è un'intera categoria professionale funambolicamente sospesa su quel confine. Io ho un interessante visuale sul fenomeno e mi scopro ad esserne vittima ed ingranaggio, per ora, sempre molto inconsapevole. Stuzzicanti questioni etiche e discorsi concitati nei pressi dell'entrata di una fermata della metro.
Ho spesso a che fare con la mia paura, con le mie paure. Risolvo realizzando che mi piacerebbe molto essere più libero da esse, ma che infondo riesco, pur nella mia ansia paranoica, ad essere fatalista e pragmatico a tempo debito. Dall'altro lato, anche se sono sempre stato un sostenitore del relativismo, ho sempre invidiato persone con forti certezze e saldi principi, persone sicure di sé, ultimamente però sto riflettendo sul fatto che c'è sicurezza e sicurezza, convinzione e convinzione e che non sempre c'è molto da invidiare, almeno, non più di quanto si possa invidiare qualcuno che sta in gabbia. Eviterò di scrivere quella frase tanto banale che sta solitamente infondo a riflessioni di questo tipo e che spesso viene citata in latino.
Ora ho sonno e vado a dormire, il doloroso pulsare monotempia potrebbe tornare. Ciao mondo, a domani.
Nessun commento:
Posta un commento