lunedì, febbraio 16, 2009
Amarezza sconclusionata
Apoptosi
Trecentotrentatreesimo post, a metà dal tributo al principe della notte.
Mi lascia attonito realizzare come anche persone non particolarmente propense ad impegnarsi con continuità per il raggiungimento di un obiettivo, siano capaci di impegnarsi a fondo nel marciare verso l'autodistruzione, verso la tragedia, verso il disastro.
Non sto parlando del disastro ultimo, della Fine con la "F" maiuscola, ma questo non sminuisce minimamente la portata del mio stupore.
Il bisogno di preservarsi, di perpetrarsi non mi ha mai sorpreso granché. La propensione all'autodistruzione, invece, è ciò di cui non riesco a spiegarmi i motivi di fondo, pur avendone verificato l'esistenza e la frequenza più volte.
Probabilmente c'è una posizione di fondo indebitamente (ma non inspiegabilmente) asimmetrica: il motivo di fondo per cui ci si dovrebbe preoccupare di preservare la propria esistenza, al netto di ogni cultura e/o ideologia, non è più oscuro di quello per cui si dovrebbe desiderare il proprio annientamento, la propria fine, d’altronde cominciare ad esistere non è un gesto volontario, una scelta.
Non credo che la tendenza all'autodistruzione sia una cosa individuale più di quanto non lo sia il bisogno di continuare ad esistere. Probabilmente è qualcosa di simile all'apoptosi cellulare: le cellule muoiono per il bene dell'organismo. Anche se non si tratta di morte, ma di piccoli drammi personali, forse questo, in qualche modo, è funzionale all’insieme, al tutto, forse garantisce maggiore variabilità…
Non so, d'altronde forse tutto questo non ha un senso, o, comunque, non ha un senso comprensibile all’essere umano…fatto sta che succede, quotidianamente, e che mi sorprende.